“Il Pd ha perso perché gli sono mancati un gruppo dirigente, una politica economica coerente e una strategia europea in grado di porre argine allo strapotere della Merkel”. E’ l’analisi di Ugo Finetti, condirettore di Critica sociale, secondo cui “Renzi dimostra di saper segnare solo a porta vuota, cioè con un Berlusconi assente e con la paura di un trionfo dell’M5S, mentre appena cambiano le condizioni il 40% delle europee diventa un ricordo lontano”. Al rientro da Herat il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, ha commentato: “Il risultato del voto è molto positivo, andiamo avanti dunque con ancora maggiore determinazione nel processo del rinnovamento del partito e di cambiamento del Paese”.
Che cosa la colpisce di più di questo voto per le Regionali?
In primo piano c’è la fragilità di Renzi, un dominus mediatico che per la prima volta fugge dai riflettori dei media rifugiandosi in Afghanistan. Il 41% del Pd alle europee era dovuto essenzialmente a un’inesistenza di Berlusconi e alla paura del grillismo. Ciò ha consentito di mettere insieme quello che è stato chiamato il Partito della Nazione, che univa sinistra tradizionale ed elettorato moderato.
Qual è la nuova situazione a livello nazionale?
E’ una situazione a macchia di leopardo. Dalle Regionali emergono aree del Paese dove l’elettorato fa quadrato intorno a Renzi ma anche disaffezioni notevoli. Non c’è più Renzi che segna a porta vuota, abbiamo Beppe Grillo in rimonta e un centrodestra che non è più in sfaldamento ma è in grado di stravincere in Veneto al di là di ogni ipotesi.
La macchina del consenso del premier si è inceppata?
E’ un voto che va analizzato attentamente. Il risultato per le candidate renziane è tutt’altro che lusinghiero, con Catiuscia Marini che vince a fatica in Umbria e Paita e Moretti che sono sconfitte. Il Pd vince in Puglia grazie all’anti-Renzi, Michele Emiliano, e in Campania grazie all’impresentabile De Luca. Il caso campano è una sconfitta anche di Renzi-Cantone, in quanto il premier ha usato il magistrato come “foglia di fico” e la sua operazione è stata scompaginata dalla Bindi. Quello che emerge è un Pd pirandelliano, cioè “Uno, nessuno e centomila”.
In che senso?
C’è il Pd in Parlamento, di impronta bersaniana. C’è il Pd di governo, quello del 41% alle europee, che prende a pesci in faccia le opposizioni interne ed esterne. E c’è il Pd presente sul territorio, che prende la metà dei voti rispetto alle europee.
Ora il segretario farà autocritica?
Renzi non è il tipo da fare autocritica o da correggere i suoi errori, andrà avanti asfaltando tutti e anziché ricompattare il Pd cercherà di commissariarlo. Ciò non toglie che oggi la figura del premier abbia molte fragilità.
Che cosa lo rende debole?
A mancargli è in primo luogo una leva renziana in grado di creare un nuovo gruppo dirigente. In secondo luogo c’è una politica economica disordinata. Con il “tesoretto” Renzi preparava una nuova mancia pre-elettorale, ma è stato bloccato dalla Corte costituzionale. Questo è stato un handicap notevole, perché prima delle elezioni europee aveva potuto buttare sul piatto gli 80 euro. Ma Renzi sconta anche un terzo problema…
Quale?
Il successo alle europee di un anno fa era un grande investimento per modificare l’egemonia della Merkel, ma ciò si è tradotto in una delusione. Abbiamo la Mogherini come Commissario Pesc, ma continuiamo a essere sotto alla Merkel e su immigrazione e Piano Juncker i risultati sono inferiori alle aspettative. La stessa linea di comando messa in piedi da Renzi, e che va da Mattarella a Cantone, non riesce a trascinare l’opinione pubblica.
Il voto in Veneto documenta che c’è un ceto produttivo che non appoggia le riforme di Renzi?
La media imprenditoria dei distretti evidentemente non è calamitata da Renzi. La stessa scelta di Alessandra Moretti è però stata sbagliata, perché si tratta di una figura che non c’entra nulla con la realtà economica e produttiva. In questo modo il Pd renziano non ha aperto alcun canale di comunicazione con la realtà veneta. Forse con un altro candidato avrebbe riscosso un maggiore successo.
La Lega trionfa in Veneto, ma è in grado di imporsi come vera alternativa a Renzi a livello nazionale?
Salvini ha messo da parte tutti i rituali celtici, individuando due grandi temi non territoriali: immigrati e no euro. In questo modo è riuscito a raccogliere un grosso successo anche nel centro Italia. In questo modo la Lega si afferma come il primo partito del centrodestra, anche se per Renzi non è un antagonista nazionale. Non può cioè pensare di battere il Pd alle elezioni politiche, proprio perché non riuscirà mai a raccogliere consensi nel Sud Italia.
E gli altri leader del centrodestra come se la cavano?
Male. Il centrodestra si trova ad avere a che fare con il carisma in declino di Berlusconi. Lo stesso Alfano esce sconfitto da queste elezioni, in quanto è percepito dagli elettori come l’“avvocato d’ufficio” dell’Ncd che si rimette alla “clemenza della corte”, cioè di Renzi.
(Pietro Vernizzi)