“Quanto sta avvenendo a Roma è legato innanzitutto ai problemi dell’attuale governo. Per questo Renzi non può limitarsi a fare il commentatore su Mafia capitale come se fosse un estraneo. Trovo davvero provinciale l’idea che l’intera vicenda sia da derubricare a una mera questione di carattere amministrativo”. E’ l’affondo di Arturo Scotto, capogruppo di Sel alla Camera dei deputati. Anche ieri il presidente del Consiglio è tornato a farsi sentire con un’altra delle sue veline affidate ai quotidiani più vicini al governo. Uno in particolare riportava la frase “Marino non è in grado di proseguire”, che sarebbe stata pronunciata dal segretario del Pd in presenza dei suoi fedelissimi. Resta il fatto che una presa di posizione ufficiale di Renzi sul caso Mafia capitale e sull’opportunità o meno delle dimissioni di Marino ancora non c’è.



Renzi ha chiesto implicitamente a Marino di dimettersi. E’ la scelta giusta?

Il premier lo deve dire in maniera esplicita e non deve scaricare su Marino le sue incertezze rispetto a una situazione che ci è largamente incancrenita.

Secondo lei è giusto che il sindaco rinunci al suo incarico?

Il tema è mal posto, perché il punto è se ci sono le condizioni di una svolta. Questo lo deve valutare Marino insieme ai partiti della sua maggioranza.



Quale immagine di Pd emerge dal caso Mafia capitale?

Il problema non è il Pd ma la missione della città di Roma. E’ come questa città può interpretare la nuova fase e uscire dalla vergogna delle inchieste sulla mafia. Nonché quale missione si dà l’amministrazione Marino e quale funzione deve avere questo passaggio. Sul Pd poi si vedrà.

La questione morale non coinvolge solo il Pd ma l’intera classe politica italiana?

Non c’è dubbio. Con Mafia capitale è emersa una questione morale che attraversa trasversalmente molti settori dei partiti e della classe dirigente, e che in qualche modo determina un ulteriore distacco dalla politica di una larghissima fascia di cittadini. L’abbiamo visto anche alle elezioni amministrative, con l’esplosione del fenomeno dell’astensionismo che ormai è diventato un dato strutturale. Quest’ultimo ci consegna la cartolina strappata di un Paese dove le classi dirigenti o sono ininfluenti e che non contano nulla, oppure hanno relazioni strette con una parte del mondo dell’impresa, talvolta dipendente dalle commessa pubbliche.



Di che cosa c’è bisogno?

C’è bisogno di un’autoriforma della politica. Quest’ultima non deve prendere i finanziamenti da quelle aziende che partecipano alle gare pubbliche e che hanno appalti dalla pubblica amministrazione. Basterebbe questo per recidere nettamente i rischi di corruzione e di collusione.

Quelli di Roma sono solo problemi locali o veri e propri problemi di governo?

Sono problemi di governo a tutti gli effetti. Per questo il segretario del Pd non può limitarsi a fare il commentatore, come se fosse un estraneo. Renzi è il presidente del Consiglio italiano, e non può essere indifferente rispetto al destino e al futuro della capitale del Paese, che è il biglietto da visita dell’Italia. Trovo davvero provinciale l’idea che la questione di Roma sia da derubricare a una mera vicenda di carattere amministrativo.

 

La soluzione ai problemi del nostro Paese, che emergono anche dagli scandali romani, è il ritorno al Renzi 1 come annunciato dal premier?

Il Renzi 1 aveva fatto irruzione sulla scena politica come un innovatore straordinario che doveva provare a rovesciare la classe dirigente precedente. In realtà ha fatto semplicemente un maquillage delle classi politiche, ma ha lasciato le classi dirigenti economiche dove erano prima. Anzi ne ha accresciuto il potere e talvolta le ha messe alla guida delle grandi aziende pubbliche. La rottamazione si è fermata soltanto al Pd, e non alle classi dirigenti nazionali.

 

Il nostro governo sta pagando anche la sua debolezza sul fronte europeo?

Sì. Il Renzi 1 si era presentato come quello che andava in Europa ed esponeva una linea politica contro l’austerity. Questo Renzi 1 non c’è, anzi abbiamo un presidente del Consiglio che in Europa ha un rapporto di subalternità molto forte rispetto al blocco della Merkel. Il nostro governo non riesce a mettere in campo una proposta alternativa che si concretizzi nel federalismo europeo e in politiche economiche espansive.

 

Meglio quindi continuare con il Renzi 2?

Oggi non ci sono né un Renzi 1 né un Renzi 2. C’è un uomo che non sa governare questo Paese e che rischia di alimentare ulteriormente l’avvento al potere dell’antipolitica e del populismo peggiori.

 

A dividere l’Italia non è solo l’antipolitica, ma anche un ddl scuola largamente impopolare. Lei come lo valuta?

La prima cosa a non funzionare nel ddl scuola è l’impianto culturale, che del resto attraversa anche tutte le altre riforme del governo Renzi. La caratteristica di questa riforma della scuola è la verticalizzazione del potere, cioè il suo trasferimento dalalle mani dei molti a quelle dei pochi.

 

E la seconda cosa che non funziona?

E’ l’impianto educativo. A essere del tutto mancante è l’idea di scuola di un Paese che deve provare a immaginarsi dentro a un processo sempre più forte di riunificazione europea e di interconnessione con le altre economie mondiali. C’è semplicemente l’idea di una scuola che affida il proprio destino alla capacità manageriale del preside e umilia il corpo docente riducendolo a bieca manovalanza. Questo è insopportabile.

 

(Pietro Vernizzi)