Un conto è la lotta alle discriminazioni, un conto è la teoria gender. Nessuno confonda le due cose. Sono due anni che ribadisco questo punto, anche quando il tema erano i libretti sul gender a scuola. Questa posizione ha fatto sì che le opposizioni abbiano chiesto più volte le mie dimissioni, chiamandomi “sottosegretario sentinella”, in rete mi danno del crociato, dell’omofobo, oscurantista eccetera. Cerco di essere realista non ideologico, mi hanno insegnato a usare la ragione e a partire dalla realtà.



Nel ddl Buona Scuola c’è la richiesta (al comma 16 del testo finale del Senato) di tenere conto nell’attività didattica di tante cose tra le quali anche “la prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni”. Se le parole hanno un senso,  in questa frase non vedo il problema denunciato. Lo vedo se qualche associazione vuole interpretare questa frase forzandone il significato per introdurre in modo evidentemente strumentale la teoria del gender. Ma per eliminare questo pericolo non serve urlare contro “la prevenzione della violenza di genere” (peraltro sancita da una legge dello Stato votata da destra e sinistra, la 119 del 2014) ma chiarire una volta per tutte che la teoria del gender (decido io la mia identità sessuale) non è la lotta alle discriminazioni (nessuno va discriminato in base al sesso, come dice la Costituzione) e che in ogni caso sono i genitori gli unici che devono conoscere e possono approvare ciò che a scuola viene insegnato o ciò che vi entra attraverso attività collaterali come libretti, video, corsi vari.



Chi pensa che la scuola sia un’isola felice dove le discriminazioni anche pesanti non esistano, sbaglia. E chi pensa che non si debba spiegare e accompagnare i ragazzi in questo percorso sbaglia due volte. Dall’altra parte sbaglia, e molto, chi pensa di indottrinarli con la teoria secondo la quale non siamo uomini o donne ma ciò che vogliamo essere. Sbaglia ancora di più chi questa teoria la vuole introdurre nelle scuole con il bollino dell’Europa o di un ufficio del Governo spacciandola come lotta alle discriminazioni.

Ripeto, che non guasta: la teoria gender è una cosa, la lotta alle discriminazioni, anche di genere, un’altra. Non ci può essere equivoco. Mentre sulla lotta alle discriminazioni non si discute, per la teoria gender se i genitori vogliono (e solo in questo caso) sarà loro compito e cura insegnarla. Non si tratta di una novità: quello che si fa a scuola deve essere conosciuto preventivamente dai genitori, i quali, Costituzione alla mano (art. 30), sono gli unici “titolari” della competenza in merito al “diritto dovere di istruire ed educare i figli”. 



Il Governo però deve fare chiarezza.

Fare chiarezza vuol dire che va risolta con il Dipartimento pari opportunità della Presidenza del Consiglio la funzione di Unar (Ufficio nazionale antidiscriminazione razziale). Il problema non è Unar in sé, ma la “nuova” e ambigua funzione che questo ufficio da tre anni si è di fatto autoassegnato occupandosi quasi esclusivamente di gender quando invece oltre il 75 per cento delle segnalazioni che gli arrivano in merito alle discriminazioni sono di carattere razziale o di fede religiosa. Un’evidente deriva ideologica della sua funzione istituzionale supportata dall’attivismo dell’Unione europea che ha inviato a tutti i paesi una raccomandazione per attuare il piano nazionale contro le discriminazioni. In base a questo input sono state scritte le linee guida nazionali di Unar e definita una Strategia nazionale senza coinvolgere né il Parlamento né i ministeri interessati, per poi passare alla proposta e alla firma di protocolli tra l’Unar stessa e i singoli dicasteri. In questo modo si è arrivati direttamente all’utente finale, le scuole, dove vengono proposte iniziative di singole associazioni per dare attuazione a quanto sopra riportato, spesso anche senza il passaggio dal consenso informato dei genitori.

E’ questo percorso quello che esaspera gli animi di genitori e insegnanti, perché perseguito nella totale assenza di un dibattito e di un confronto costante con i genitori.

Ma tutto ciò c’è già in molte scuole, non è stato introdotto né tantomeno ratificato dal ddl sulla Buona Scuola.

La scuola non è terreno di scontro ideologico, né luogo di colonizzazione culturale. Non è neppure un posto paradisiaco dove tutto è tranquillo e dove non si debbano aiutare i ragazzi a capire e vivere il rispetto per gli altri. È però luogo della conoscenza e della formazione di una coscienza critica. Per questo continuo a dire assolutamente sì alla lotta a tutte le discriminazioni e un no convinto all’introduzione della teoria gender. Le due cose, come ho cercato di spiegare, possono e devono coesistere.