“Renzi rinunci a Italicum e Partito della Nazione, che si sono rivelati superati alla luce del risultato delle elezioni regionali. Il voto in Veneto dimostra che sfondare a destra è impossibile, e le percentuali dell’M5S confermano che ci troviamo di fronte a un sistema tripolare incompatibile con la nuova legge elettorale”. Sono le parole di Gianni Cuperlo, deputato ed ex presidente del Pd. Dopo le Regionali si è aperta la resa dei conti nel Pd, con la riforma costituzionale come prima questione che dovrà essere affrontata. Anche perché per la sinistra dem il suo effetto combinato con l’Italicum riduce gli spazi di rappresentatività. Ma a essere ancora tutta da affrontare è l’analisi del vero significato di queste elezioni per il principale partito di maggioranza.



Si è parlato di emorragia di voti ma è finita 5-2. In politica, come nel calcio, quello che conta non è vincere?

Il 5-2 è certamente un risultato importante e positivo. C’è però un dato politico di cui tenere conto, in quanto se si lascia per strada la metà dei voti rispetto alle elezioni europee di un anno fa è bene porsi una domanda su come è potuto accadere.



Lei come risponderebbe?

A pesare è stata una certa distanza nei confronti di un’istituzione come le Regioni che non hanno dato una prova brillante di sé. Hanno pesato inoltre le candidature e le divisioni che si sono manifestate in alcuni casi a livello locale. C’è poi un tema politico più di fondo, che riguarda la disaffezione di una quota di elettori della sinistra rispetto ad alcune scelte che sono state compiute nell’ultimo anno. Ha avuto ragione chi aveva sollevato delle perplessità su legge elettorale, Jobs Act, riforma della Costituzione e della scuola. Le nostre richieste di modifica erano anche un modo per tenere un filo con una parte della società.



Queste Regionali segnano la morte del Partito della Nazione?

Prima si archivia quella formula e meglio è. Non mi ha mai convinto l’idea che si potesse piegare la sinistra, dando per scontata l’idea che su quel versante non c’era un’alternativa possibile. Come se ciò bastasse per sfondare nel campo del centrodestra grazie a un partito saldamente piantato al centro. Questo schema è saltato, e basterebbe il risultato del Veneto per dare la conferma di come quell’impostazione avesse dei limiti seri.

Esiste un modello alternativo di Pd che non sia il ritorno al passato bersaniano?

Intanto non rimpiango nulla del passato, anche perché il successo di Renzi è stato il frutto dei limiti che abbiamo conosciuto in precedenza. Il vero problema è ancorare saldamente il Pd al campo della sinistra e del socialismo europeo. Esiste inoltre un problema serissimo di radicamento sociale del Pd. La risposta non sta nel ritornare al vecchio modello organizzativo. Forse abbiamo davvero bisogno tutti, maggioranza e minoranza, di pensare a qualcosa di radicalmente nuovo.

Lei sta con la Bindi o con De Luca?

Ho avuto grandi dubbi sulla tempistica e anche sulla modalità dell’uscita degli elenchi di impresentabili. Ne ho parlato con la presidente Bindi, in quanto capisco le preoccupazioni legate al fatto che questo elenco sia stato pubblicato a 48 ore dall’apertura dei seggi. Mi hanno anche colpito le osservazioni di Roberto Saviano e di Rosaria Capacchione, cioè di persone insospettabili nella loro coerente battaglia contro le organizzazioni camorristiche che hanno segnalato delle difficoltà e anche delle incongruenze di questo metodo. Del resto la Bindi ha applicato le regole che la Commissione si era data, e da questo punto di vista ritengo del tutto fuori luogo la scelta di De Luca di procedere per via giudiziaria contro la presidente dell’Antimafia.

 

E’ vero che in Umbria e in Toscana il Pd ha vinto grazie all’area dalemiana?

Non direi. In Toscana ha pesato in positivo la qualità della candidatura di Enrico Rossi e della sua azione di governo. In Umbria la situazione è stata più complessa, anche per l’efficacia della figura del candidato d’opposizione. Fa riflettere il fatto che quelle di due vincitori come Emiliano e De Luca possano essere lette come le candidature meno legate all’impostazione renziana.

 

Su che cosa ora Renzi deve cambiare passo?

Più che cambiare passo gli consiglio di correggere lo spartito. L’idea di Partito della Nazione non si è rivelata convincente alla luce dei fatti. Lo stesso Italicum si è rivelato più problematico di come lo abbiamo rivelato all’esterno, non fosse altro che per il fatto che queste elezioni ci danno la conferma del fatto che la competizione in questo Paese non è destinata a essere bipolare, bensì tripolare.

 

Una sinistra dove la Cgil è ancora la cinghia di trasmissione non rischia di essere ancorata al passato?

Assolutamente sì, ma oggi non è più così. Durante la campagna elettorale la Camusso ha dichiarato che non avrebbe votato Pd, e quindi in questo momento non si può raccontare la realtà come se fosse quella di 15 o 20 anni fa. Il sindacato italiano ha la necessità di affrontare una stagione di serio rinnovamento, anche in relazione alla sua capacità di affrontare un mercato del lavoro profondamente cambiato. La politica da parte sua ha la necessità di non tornare a un modello consociativo, ma di avere una visione al cui interno i corpi intermedi siano ascoltati.

 

(Pietro Vernizzi)