Renzi ha vinto le regionali ma ha perso due milioni di voti. Salvini ha vinto in modo schiacciante le primarie del centrodestra. Ma ha perso le primarie delle idee, situazione riassunta dall’imprenditore che a Santa Margherita Ligure lo ha apostrofato chiedendogli proposte concrete per l’industria italiana oltre il solito “fuori dall’euro, fuori dall’Europa”, e a volte anche dalla grazia di Dio.
Non sarà certo la decisione assunta dagli esigui Popolari per l’Italia di abbandonare la maggioranza a far vacillare il monocolore renziano, per la verità in salsa neocentralista più che neocentrista. E tuttavia il gesto dimostrativo degli sparuti senatori popolari ha mandato in fibrillazione più del dovuto chi in casa Pd fa i conti della serva con un occhio al 2018 e l’altro alla exit strategy delle elezioni anticipate.
Prima di tutto per i tempi. La mossa di Mauro & co. sembra più preoccupata di ridare un’anima di buon senso al centrodestra perché torni il consenso. Mentre rimanendo al governo col nuovo principe fiorentino lo schema è immodificabile: eventuali meriti vanno a Matteo, le brutte figure ad Alfano. Se Forza Italia aprisse un cantiere di idee chiamando a raccolta chi — e sono tanti — ha capito che in troppi settori il governo fa chiacchiere, tempo tre mesi il centrodestra avrebbe un programma credibile.
In sostanza, nessuna delle microformazioni prodotte dal dissolvimento del Pdl via Scelta civica, Ncd, Fitto, Tosi, Passera e chi più ne ha più ne metta è in grado di fornire alternative agli amanti del buongoverno in cui lo Stato si piega al servizio di famiglie e imprese; ma escludere chicchessia o peggio consegnarsi disperati alle invettive salviniane è un rimedio peggiore del male. E qui sta forse il senso dell’iniziativa dell’ex ministro della Difesa, il cui destinatario è non tanto Renzi, quanto appunto ciò che rimane del partito di Berlusconi.
Uscire dal governo significa rendersi disponibili per ritrovare un minimo comun denominatore utile per competere con la Lega per la leadership dello schieramento moderato in vista delle prossime elezioni politiche. Purché Berlusconi non ceda alle sirene verdiniane di un nazareno rinnovato. Fatto di molti “aiutini” e di una sostanziale rinuncia a fare politica da parte dell’uomo di Arcore.
Il rischio per Renzi, insomma, non è nell’uscita dei popolari ma in ciò che quel gesto sembra indicare: il re è nudo, il partito della nazione non è la nuova Dc, ma un pervasivo quanto incapace partito del pensiero unico. Cui va contrapposto un pensiero politico che riconquisti casa per casa il sì e l’entusiasmo dei 20 milioni di italiani che alle elezioni si sono astenuti. Sono oggi il primo partito. Il secondo è il blocco populista Grillo-Salvini. Il terzo è il Pd “va tutto bene madama la marchesa”.
Manca all’appello il partito che tutti gli italiani voterebbero. Non sono certo i minuscoli Popolari per l’Italia. Ma “Italia “e “popolari” sono due parole da non buttare via. Il tempo del governo di necessità con dentro tutti è finito, sembrano dire i reduci. Sperando che ora qualcun altro batta un colpo.