Un premier di Sua Maestà che si fa escludere senza batter ciglio da un vertice Ue epocale e il giorno dopo si diverte a rovesciare subito il tavolo del salvataggio Ue architettato on the Continent. 

Un ex premier polacco – che non ha mai avuto l’euro in tasca – il quale funge da garante alla drammatica trattativa notturna fra 15 paesi dell’eurozona che vogliono espellere la Grecia e tre paesi che difendono l’integrità blindata dell’unione monetaria.



Un premier italiano che – dopo aver consegnato i suoi commenti in inglese a una veloce intervista televisiva con l’americana Cbnc (gruppo Murdoch) – preferisce sorvolare la sua capitale (cioè il suo Parlamento e la sua presidenza della Repubblica) per non mancare un imprescindibile tour in Etiopia e Kenya (nelle stesse ore anche il collega spagnolo Mariano Rajoy conferma l’orientamento a portare all’esame delle Cortes l’accordo-quadro sulla Grecia: lo farà per prima la cancelliera tedesca Angela Merkel).



E’ davvero faticoso enumerare tutti gli strappi alle liturgie della governance Ue consumati a cavallo dell’Eurosummit di Bruxelles. Le conseguenze – tutte micidiali per la coesione dell’Europa di Maastricht ma soprattutto per la sua evoluzione “3.0”, ormai inevitabile – si contano ad horas. Ieri non ha certo sorpreso che il premier britannico David Cameron abbia fatto finta di sdegnarsi che l’Esm (il fondo salva-Stati creato dalla Ue “piena” a 28) sia stato chiamato in causa da “quelli dell’eurozona”. Naturalmente Downing Street aveva fatto ottimo viso al pessimo gioco deciso lì per lì sabato mattina da Germania e Francia: la prima timorosa che l’aggiunta di Londra all’asse fra Parigi e Roma a difesa tattica di Atene disturbasse il pressing su Alexis Tsipras; la seconda preoccupata di veder messo in discussione il suo ruolo di “duopolista” dell’Europa assieme a Berlino. Entrambe le “potenze continentali” hanno mostrato nell’occasione di dare per scontato che la Gran Bretagna sia in uscita dalla Ue: cosa che non sembra peraltro aver disturbato l’amministrazione Cameron, confermata poche settimane fa alle elezioni politiche proprio sull’onda dell’euroscetticismo e del referendum programmato per il 2017.



Ma che dire del Fondo Monetario Internazionale? E’ il soggetto che – formalmente – potrebbe dichiarare il default della Grecia. Eppure – dopo l’esito dell’Eurosummit – è ora nei fatti il paladino di Tsipras, sollecitando il taglio del debito greco contro cui invece la Merkel e il mastino Wolfgang Schauble hanno rialzato un vero “muro di Berlino”. Ma anche su questo versante c’è poco da stuprisi: l’Fmi ha sede a Washington ed è tuttora un protettorato di quegli Stati Uniti che – per ragioni geopolitiche – hanno alzato la vice contro la Ue a favore di Atene. E poi il direttore generale del Fondo è la francese Christine Lagarde: candidata a tutto, dalla presidenza francese a quella della Ue o della Bce.

Il caso del presidente del Consiglio europeo Donald Tusk resta comunque fra i più eclatanti. Alcuni retriscena (soprattutto di media anglosassoni) ne hanno fatto una specie di “eroe dell’alba”, sul finire della maratona negoziale di Bruxelles. 

Ma la sua presenza ai tavoli decisivi – pare addirittura a danno del presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker, lussemburghese e membro dell’eurozona – ha scoperto il tentativo più posticcio di legittimare un corretto funzionamento della governance europea. Che invece si è completamente polverizzata in un vortice di summit bilaterali improvvisati, in un gioco peverso di inclusioni ed esclusioni arbitrarie: e fra queste ultime ha spiccato la clamorosa fatwa lanciata da Schauble contro il presidente della Bce, Mario Draghi, reo di essere istituzionalmente preoccupatissimo per la stabilità del sistema bancario greco.

Last but not the least, Matteo Renzi: lui per nulla preoccupato di gestire la traumatica svolta nella Ue all’interno della democrazia parlamentare di un Paese fondatore dell’Unione. In un Paese del G7 il premier torna da Bruxelles e va a riferire subito al Capo dello Stato e poi alle Camere. Non va in Africa centrale a promettere che il nuovo vertice della Cassa Depositi e Prestiti, appena nominato autocraticamente dal premier, avrà nella sua nuova missione anche la distribuzione del risparmio postale italiano anche a lontani paesi in via di sviluppo. Lo sviluppo che in Italia – da quando Renzi è arrivato non eletto a Palazzo Chigi, non s’è ancora visto.