Il taglio nei tg della sera delle immagini dei vertici di Bruxelles senza Renzi (in onda nell’edizione precedente) ha evidenziato l’irritazione di Palazzo Chigi. Ma le ragioni del non protagonismo italiano nella crisi greca non dipendono semplicemente da errori e difetti del nostro premier. Si tratta soprattutto del venir meno del ruolo dei partiti socialisti e popolari come soggetti unificanti e dell’interruzione del processo di unità europea. Il regime dello “status quo”, l’Unione “a due velocità” e il prevalere dei nazionalismi (con il prevalere del Consiglio Europeo, che riunisce i rappresentanti degli Stati, sul governo unitario della Commissione) hanno indebolito l’euro e portato alla radicalizzazione dello scontro Tsipras-Merkel.



L’euro richiedeva maggiore unità politica, invece, nel segno della “fine della storia”, si è pensato che bastasse una commissione di censura tecnica; in aggiunta, l’allargamento ad Est è stato usato per bloccare il processo di integrazione che era stato al centro dell’Unione a Ovest. Una situazione di ingessatura politica e istituzionale che è degenerata nello scontro tra l’economia più forte e quella più debole concretizzando il dissolvimento.



Sia la Merkel sia Tsipras sono infatti portatori di una linea distruttiva. Il contrasto è sembrato insanabile perché entrambi puntano ad “asfaltare” tutti gli altri. Il leader greco ha vinto le elezioni e poi il referendum in Grecia cavalcando non solo un revanscismo nazionalista, ma un movimento di ambizione internazionalista che vuole esportare — novello Fidel Castro — una ribellione anticapitalista-antimperialista contro l’Europa dell’euro. Rivolgersi alle opposizioni europee con l’obiettivo di rovesciare tutti i governi in carica non ha certo facilitato le trattative con le cancellerie in carica che gli hanno infatti imposto un piano peggiore di quello che il premier greco aveva respinto facendo il referendum.



Né ha giovato il fatto che da gennaio, sfiorando l’iconografia nazista del muscoloso ariano contro il flaccido ebreo, i media filo-Tsipras si sono accaniti (e divertiti) a raccontare lo scontro tra sinistra vitale e destra decadente insistendo nel montaggio parallelo tra l’aitante Varoufakis sfrecciante in moto e il vecchio Schauble in sedia a rotelle.

Da parte loro Merkel e Schauble, non da oggi, usano i parametri dell’austerità con finalità politiche e ambizione di potenza nazionale, e cioè con l’obiettivo di mettere in difficoltà la sinistra europea di governo — socialisti, laburisti e socialdemocratici — e, soprattutto, imporre la propria supremazia sugli altri paesi.

Ma l’Europa a guida tedesca non ha futuro. Ci sono di mezzo due guerre mondiali provocate dai tedeschi e vinte dagli inglesi e dai francesi. Per non parlare della terza “fredda”. Una tedesca dell’Est che con l’appoggio dei paesi ex comunisti contrappone il Nord Europa come “stella polare” al resto dell’Europa occidentale, a cominciare dagli altri Stati cofondatori, come “area secondaria” provoca un caos geopolitico (senza dimenticare che sia l’unificazione tedesca sia l’allargamento dell’Unione all’Europa dell’Est privilegiando il mercato di Berlino sono stati pagati dall’Europa occidentale con in più il taglio in blocco dei fondi per le regioni mediterranee a favore di quelle dell’Est).

Nello scontro Merkel-Tsipras è emerso il rischio di un’implosione dell’Unione e si è quindi attivata in extremis una “terza forza”, con Hollande che non ha “incrinato” ma ripristinato la diarchia, avendo l’appoggio del presidente della Commissione Juncker e del presidente della Bce Draghi.

Renzi rischia di essere irrilevante perché ondivago e inaffidabile. Preoccupato sempre di stare tra i vincitori, di fronte allo scontro di esito incerto ha cercato di tenersi buoni tutti. L’iniziativa di contrastare i tedeschi non lo ha coinvolto perché il premier italiano è sempre apparso non desideroso di dispiacere alla Merkel. Sin dall’indomani delle elezioni europee del 2014 fece la scelta di stare con il più forte stabilendo un rapporto diretto con la cancelliera e impedendo una trattativa tra socialisti e popolari. Ruppe con Hollande e persino Cameron e ignorò Draghi. La Merkel ne approfittò infatti per conquistare tutti i vertici istituzionali dell’Unione e premiò Renzi con la Mogherini. Da allora Renzi si è mosso a sostegno della monarchia tedesca fino a recarsi a Berlino, alla vigilia del referendum greco, e da lì farsi interprete del malumore della Merkel verso Juncker che aveva avanzato nuove proposte a Tsipras. Il premier italiano arrivò persino all’insulto (con una citazione cinematografica: “Ma hai qualcosa nella testa?”). E’ evidente che Hollande e Juncker non hanno contato sull’Italia nel contrastare la Germania.

E’ però da tener presente che a spingere Renzi è stata soprattutto la preoccupazione della sorveglianza di Bruxelles sui conti italiani che viene svolta da “fedelissimi” della Merkel. Il recupero di ruolo dell’Italia dipende infatti dal non essere con “il coltello sotto la gola” nella legislazione finanziaria. Ma tagliare tasse e spesa pubblica non è semplice per Renzi. Gli 80 euro che nella “narrazione” del nostro premier sono abbassamento delle tasse, a Bruxelles sono catalogati come incremento della spesa.