Nessuno l’ha nominato mai, e lui non si è presentato perché dichiarato “persona non gradita” dalla famiglia Borsellino. Eppure Rosario Crocetta è stato il convitato di pietra della commemorazione della strage di via D’Amelio. Una cerimonia all’apparenza stucchevole e formale, che grazie alla presenza di Sergio Mattarella e di Manfredi Borsellino si è trasformata in un durissimo atto d’accusa nei confronti di un’antimafia di facciata, incarnata — a detta di molti — proprio dal presidente della Regione Siciliana.
Sergio Mattarella ha tutte le carte in regola per incarnare una nuova stagione della lotta alla mafia, che ha voluto esprimere con i gesti, più che con le parole. La telefonata di solidarietà a Lucia Borsellino rimane agli atti, indipendentemente dalla veridicità delle intercettazioni infamanti fra il primario Tutino e il governatore Crocetta. E così l’abbraccio caloroso con Manfredi, o la presenza a Via D’Amelio al fianco di Rita.
Come ha spiegato nel suo commovente intervento Manfredi Borsellino, Lucia da oltre un anno ormai operava in un clima di ostilità e di offese nei suoi confronti. Il tutto per aver tentato di incidere in uno dei rami più delicati della complessa macchina regionale siciliana, la sanità. Nell’occhio del ciclone la volontà di creare “una sanità libera e felice”, che andava però a toccare troppi santuari. Lei però ha resistito sinché ha potuto “per potere spalancare agli inquirenti le porte della sanità dove si annidano mafia e malaffare”.
Quella contro cui Lucia Borsellino è andata a sbattere, se non è mafia, ci assomiglia tanto. Questione di mentalità, di santuari intoccabili, di enormi interessi economici che è pericoloso toccare. Mattarella nel commemorare sia Falcone che Borsellino a maggio era stato durissimo: “L’illegalità, l’opacità, l’opportunismo colpevole a volte mettono radici anche in ambiti imprevisti. A volte inquinano settori che dovrebbero esserne immuni”.
Le parole di Manfredi Borsellino rompono un velo di ipocrisia, proprio quella dell’opacità descritta da Mattarella nel discorso di marzo nell’aula bunker di Palermo. Non basta che dagli anni delle stragi la mafia si sia inabissata e gli omicidi siano drasticamente diminuiti. La mafia si è inabissata, ma non è affatto sparita. Serve allora un impegno corale per arrivare a una “riscossa civile” (parole di Mattarella).
Difficile che domani sia tutto come ieri. Difficile fare finta che nulla sia accaduto. Il veemente j’accuse di Manfredi Borsellino mette alle corde Rosario Crocetta, e la sua esperienza di governo che mai è seriamente riuscita a decollare in quasi tre anni, addirittura 37 assessori cambiati in 33 mesi alla guida della Sicilia. Lui dice che Lucia Borsellino non era stata lasciata sola, ma la giustificazione non appare convincente. La questione, ormai, è ben più grande.
Insieme a Ignazio Marino, Crocetta costituisce una zavorra insopportabile per il Pd targato Matteo Renzi. A Palermo, come a Roma, si tratta di decidere una volta per tutte il da farsi, se cioè continuare a lasciare usurare la credibilità del partito di maggioranza relativa, oppure avere il coraggio di staccare la spina, anche se questo potrebbe portare alla perdita di importanti postazioni di governo, come il municipio di Roma, o la guida della Regione Siciliana.
A Palermo, in più, c’è la lotta per la legalità, che Renzi sbandiera come un punto d’onore per il suo Partito democratico. Ma a frenare sulla via della sfiducia a Crocetta è proprio il livello regionale del partito, dove la presa del premier segretario non è affatto evidente. Nel coraggio con cui affronterà questa vicenda si vedrà il grado di coerenza di Renzi fra le parole e le azioni.