Tutti stiamo seguendo con apprensione e partecipazione la vicenda greca. Il nostro cuore, in modo spontaneo, ci dice che il discorso che il premier Tsipras ha fatto ai greci in vista del referendum è un bel discorso, che non possiamo non condividere. A parole. Perché poi la realtà ha una scorza più dura. Nel senso che tutti siamo figli del nostro passato, quindi non solo di un grande passato remoto, ma anche delle scelte sbagliate del passato recente, compresi i bilanci truccati, gli imbrogli, lo scaricabarile a danno della “povera gente”, come avrebbe detto La Pira.



Ma la realtà, dicevo, ha una scorza dura. Il leader greco ha fatto un discorso pieno di affermazioni di principio, un modo per mascherare la realtà che aveva promesso di governare. Una maschera, purtroppo, prima che una proposta di governo delle complessità. I discorsi di principio sono facili, ma non possono essere sufficienti, vista la cornice della storia greca. Che è anche la nostra storia. Ma, una volta che il leader greco ha preso il potere, con promesse che sapeva già di non poter mantenere, era scontata la conclusione, non per la cattiveria altrui, ma per il fatto che i Paesi europei forse non è giusto che coprano all’infinito i debiti di altri. Noi italiani siamo coinvolti per ben 36 miliardi di euro. Come dimenticare, ad esempio, libri e trasporti tutti gratuiti, con persone in pensione ancora giovani, senza una riforma del lavoro adeguata?



La solidarietà è una bella parola, ma ha bisogno che ognuno faccia la propria parte. Non si vive, infatti, di soli principi. Troppo comodo, troppo facile. Ricordo che la Grecia è la patria della democrazia, ma anche della distinzione tra democrazia e demagogia. Chi non voterebbe un partito che promette mari e monti per tutti, che non propone sacrifici, visto il grande debito pubblico, ma solo speranze? Colpa tutta e solo degli altri?

In Italia, lo sappiamo, a citare solo la Fornero, con la sua riforma delle pensioni, viene l’orticaria. Ma senza la sua riforma, tanto per capirci, forse oggi sarei già in pensione. Ma so che non sarebbe giusto, perché vorrebbe dire scaricare, ancora una volta, le mie responsabilità sui nostri figli. In poche parole, vorrebbe dire “fregarli”, imbrogliarli. Tanto è vero, che, è bene ricordare, si tratta di una riforma che nessuno si sognerebbe di cancellare, nemmeno i nostri sindacati mai si sognarono di organizzare manifestazioni di protesta. Al contrario della recente sceneggiata sulle riforme del lavoro e della scuola.



La riforma Fornero porterà che debba stare al lavoro sino a 43 anni di servizio? Se penso ai baby pensionati, da tutti a suo tempo richiesti, da partiti e sindacati, ma anche a colleghi che sono andati in pensione con 25, 30, 35, 40 anni di servizio, una qualche domanda nascerebbe spontanea, condita di arrabbiatura. Solidarietà? Una bella parola, comoda per tutti gli usi, soprattutto quando finisce per chiedere agli altri, non a se stessi.

L’aveva profetizzato Aldo Moro nel febbraio del 1978, in un intervento al gruppo DC della Camera su richiesta di Scalfaro, un mese prima del rapimento: non c’è diritto senza doveri, cioè senza responsabilità. La mancata comprensione di questo passaggio ha prodotto, lo sappiamo, a partire soprattutto dagli anni Ottanta, lo sbracamento del nostro tessuto sociale-istituzionale, con l’esplosione di quell’immenso debito pubblico che i nostri padri ci hanno regalato e che, a nostra volta, stiamo regalando ai nostri figli. Una bella eredità! Tutta colpa degli altri, della Germania, del sistema finanziario, della globalizzazione, ecc.? Anche, ma, anzitutto, responsabilità nostra.

Allora è facile e comodo arroccarsi alla difesa di diritti diventati vuoti, se non vengono presentati anche come doveri, cioè responsabilità. Tutto facile, dunque, parlare di soli diritti, ma una facilità ipocrita, perché incapace di andare oltre la maschera quotidiana. La responsabilità, in poche parole, non è una parola vuota, domanda il coinvolgimento personale, nel senso che è anzitutto personale: “Non chiederti che cosa lo Stato può fare per te, ma che cosa tu puoi fare…”. Citazione notissima.

Facile andare in piazza, con sceneggiate e messaggi falsi e falsati, a raccontare una storia che è fuori dalla realtà. Resta, poi, come dicevo, la scorza dura della realtà. Resta, cioè, al di là delle parole, la realtà, come cioè ricostruire un tessuto sociale finalmente non più assistenzialistico, ma centrato sul valore-persona, quindi sul valore delle sue passioni, competenze, sensibilità. Ci vorrà tempo per ricostruire questo tessuto fatto anzitutto di speranza. Per cui è fondamentale governare il passaggio da un quadro assistenzialistico, quello che ha messo in ginocchio la Grecia (ma male endemico anche della storia italiana), a una nuova stagione.

Anche la vicenda greca ci può insegnare, per chiudere, che tante polemiche sulla cosiddetta buona scuola renziana in realtà non hanno sostanza, al di là di inevitabili aggiustamenti. Perché polemiche ancora legate a un mondo che non esiste più. Quello che vedeva la centralità dell’apparato dello Stato rispetto al valore delle persone e delle loro professionalità. Impensabile nella nostra “società aperta”.

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