“Renzi si prepara ad andare al voto nella seconda metà del 2016, in modo da capitalizzare al massimo l’effetto annuncio del suo piano di tagli delle tasse senza doverlo realizzare”. E’ il ragionamento di Stefano Folli, editorialista di Repubblica, secondo cui “la strategia di Renzi è presentare un piano che gli consenta di assorbire i voti dei moderati del centrodestra, ricompattando nello stesso tempo il Pd sul piano parlamentare”. Va proprio in questa direzione la mossa dell’elezione dei nuovi presidenti di commissione alla Camera. Tutti gli incarichi finora ricoperti da esponenti di Forza Italia e M5S sono stati infatti riassegnati a membri della maggioranza.
Come legge l’elezione dei nuovi presidenti di commissione?
E’ un tentativo di rafforzare la maggioranza e di evitare di aprire nuovi fronti con la minoranza del Pd. In questo modo Renzi, consapevole che questo non è un momento felice per lui, dimostra una certa tendenza a evitare nuove tensioni dentro alla maggioranza.
E’ la mossa pigliatutto di un governo sempre più monocolore?
Sì, questo governo è quasi un monocolore. Ncd ha un ruolo difficile, nonostante gli sforzi di Alfano per rivendicare la sua presenza sulla scena pubblica. D’altra parte la stessa logica dell’evoluzione del sistema politico, così come è stata voluta con la legge elettorale, spinge verso un bipartitismo. E’ quindi ovvio che prima ancora che la legge sia applicata, il governo tende inevitabilmente a diventare espressione di un solo partito.
Su Repubblica lei ha scritto: “Si voterà nel 2018, forse”. Quando si voterà realmente secondo lei?
Il piano fiscale annunciato da Renzi è talmente complesso che sembra quasi destinato a essere soprattutto un annuncio. Mi sembra difficile che lo si voglia realizzare tutto, viste le infinite difficoltà di finanza pubblica. Non mi stupirei se fosse un progetto annunciato, ma che poi tra l’annuncio e la realizzazione ci fossero di mezzo le elezioni anticipate. In questo modo Renzi massimizzerebbe l’effetto annuncio ed eviterebbe poi l’enorme difficoltà di realizzare tutto il piano punto per punto. Elezioni nella seconda metà del 2016 potrebbero portare a Renzi questo duplice vantaggio.
Renzi riuscirà a far approvare la riforma del Senato entro la metà del 2016?
I tempi tecnici ci sono, anche se al momento non ci sono tutte le condizioni politiche per sapere quale riforma effettivamente uscirà. E’ evidente che tornare alle elezioni dovendo votare ancora per il Senato per Renzi sarebbe uno smacco. Lo stesso premier tende a muoversi su diversi fronti, e spera di riuscire a portare a termine la riforma del Senato, compreso il referendum che bisognerà fare dalla metà dell’anno prossimo. Se Renzi non ci riesce tutto questo discorso cambia e si entra in uno scenario politico-elettorale più faticoso. La sua intera strategia è basata sul fatto di tornare davanti agli elettori con alcune cose realizzate. Tra queste la riforma del Senato ha un suo valore simbolico.
Per approvare la riforma del Senato e andare al voto nel 2016, la chiave è fare entrare i verdiniani in maggioranza?
No. Non do un’eccessiva importanza al voto dei verdiniani, può essere un aiuto in certi passaggi ma non è questo il punto. Il punto è se esiste o meno un accordo forte con la minoranza del Pd. Escludo lo scenario di un Pd spaccato, con Renzi salvato dai verdiniani.
Con il piano sul taglio delle tasse, Renzi però non volta le spalle alla sinistra Pd?
I due piani sono distinti. Sul piano elettorale Renzi cerca di fagocitare l’elettorato moderato che ha votato Forza Italia, Lega nord o M5S, per riuscire a riportarli dalla sua parte. Sul piano parlamentare il premier ha bisogno di far passare i suoi provvedimenti con i voti del Pd. Ciò comporta una ricerca di accordi con la minoranza interna, magari senza dirlo in modo esplicito.
L’uscita di Fassina e Civati dal Pd rende i piani di Renzi più complicati?
Sì, non c’è dubbio. Fassina e Civati dall’esterno del Pd diventano un elemento attrattivo che rende più ardua una ricomposizione del Pd. E’ difficile per la minoranza interna fare un accordo con Renzi, nel momento in cui esiste da fuori questa formazione embrionale di sinistra sul modello della Linke tedesca.
Renzi chiede le dimissioni di Marino e Crocetta, ma ha gli uomini per sostituirli?
Forse no. Renzi vuole costruire un partito intorno a sé, con una sua idea del rapporto con il cittadino. Il premier ha molta fiducia in sé stesso e nel suo carisma, ma naturalmente si accorge che non basta. Le elezioni amministrative hanno dimostrato che il carisma del capo non è sufficiente, e forse non basterà nemmeno alle politiche. Renzi ha la necessità di costruire un Pd con una classe dirigente che sia la proiezione delle caratteristiche del leader.
E quindi?
Anche se finora ciò non ha funzionato granché, Renzi non può rinunciarvi perché se lo fa si isola e si trova a percorrere l’ultima parte della legislatura in una situazione veramente difficile. Deve quindi presentarsi alle elezioni dopo avere dato su Sicilia e Roma un’immagine rinnovata e coerente con il messaggio che vuole mandare. Se non riesce in questo, il problema diventa per lui molto serio.
(Pietro Vernizzi)