“Se la logica di Renzi è buttare fuori dal partito chi non è d’accordo con lui, allora ‘espella’ anche gli elettori del Pd che alle amministrative si sono allontanati perché non hanno condiviso determinate scelte”. E’ la provocazione di Alfredo D’Attorre, deputato della minoranza Dem, secondo cui “i dissensi in parlamento sono un pallido riflesso di un dissenso ben più cospicuo che si è registrati nella nostra base elettorale e se Renzi non ne tiene conto alle prossime Politiche perderà”. Giovedì intervistato dal Tg5 il premier Renzi aveva detto: “Alla minoranza Pd dico che piaccia o non piaccia abbiamo preso un impegno con gli italiani e lo manterremo. Io rispondo alle esigenze degli italiani, non ai Fassina, ai D’Alema e Bersani, non alla minoranza Pd. E’ il momento una volta per tutte di buttar giù le tasse”. E nei giorni scorsi il vicesegretario del Pd, Debora Serracchiani, aveva aggiunto: “Rimango ancorata all’idea che se si fa parte di un partito si resta ancorati anche alle regole democratiche che prevedono che quando il partito prende una linea, quella linea venga comunque rispettata”.



Che cosa si aspetta che accada nel Pd di qui a settembre?

Renzi e il Pd sono di fronte a un bivio. Siccome il dato delle ultime elezioni amministrative è piuttosto chiaro e ci dice che l’autosufficienza e l’isolamento del Pd renziano rischiano di portare a una secca sconfitta elettorale nel turno di ballottaggio, il Pd ha due strade: o ricostruisce un campo largo del centrosinistra, provando a gettare un ponte alle tante forze e ai tanti elettori che si sono allontanati a sinistra, oppure procede sulla strada neocentrista del Partito della Nazione. Questa è la scelta fondamentale che dovrà essere compiuta, e che avrà precise conseguenze in termini politici e programmatici.



Renzi sembra voler introdurre una sorta di vincolo di mandato. Voi che cosa risponderete?

Il vincolo non può essere esclusivamente di natura disciplinare o sanzionatoria: il problema che abbiamo di fronte è politico. In questa legislatura siamo stati chiamati a votare provvedimenti molto distanti dal programma elettorale dei partiti che sostengono il governo. Del resto i dissensi in parlamento sono un pallido riflesso di un dissenso ben più cospicuo che si è registrato nella nostra base elettorale.

E quindi?

Se la logica fosse questa dovremmo espellere anche gli elettori che non hanno condiviso le scelte su lavoro, scuola e riforma costituzionale, e si sono allontanati. E’ evidente che la via disciplinare non è la soluzione. Dobbiamo invece vedere come si ricostruisce un programma condiviso, anche chiamando i nostri iscritti a pronunciarsi, e vedere come questo nuovo programma possa essere anche la base per riaprire il cantiere di un nuovo centrosinistra.



Di fronte alla prospettiva di andare al voto con questa legge elettorale, con cui la segreteria del partito decide tutto, voi resterete dentro o ve ne andrete?

La scelta non può essere legata semplicemente alla prospettiva di una ricandidatura. Finché c’è uno spiraglio per evitare la definitiva trasformazione in chiave moderata e centrista del Pd, io mi darò da fare all’interno del partito. Nello stesso tempo ritengo sia essenziale mantenere un ponte con le tante forze che negli ultimi mesi si sono allontanate. Senza queste forze noi non possiamo ricostruire un campo progressista di centrosinistra che possa essere competitivo alle prossime elezioni e che possa presentarsi agli italiani con un progetto di cambiamento vero, e non semplicemente di adeguamento passivo alle direttive di Bruxelles.

 

Lei auspica elezioni anticipate?

Arrivare al 2018 non è un valore in sé. Ha senso andare avanti se il Pd riesce a ricostruire un programma condiviso. Se dobbiamo andare avanti per fare altre riforme come quelle di lavoro e scuola, che mettono in fuga il nostro elettorato e aggravano i problemi del Paese, è meglio andare al voto. Far durare la legislatura potrà essere una legittima aspirazione, ma non è necessariamente un bene per l’Italia. L’ideale sarebbe ricostruire un patto programmatico che consenta di riorientare su una rotta di centrosinistra l’azione del governo.

 

In generale come valuta il piano di taglio delle tasse di Renzi?

Una riduzione del carico fiscale è un obiettivo giusto e necessario, ed è altrettanto giusto chiedere la non applicazione del Fiscal Compact, così da avere margini per realizzare questi programmi. Ritengo però che si debba alleggerire la pressione fiscale su chi trae i propri redditi dal lavoro, dare un segnale ai pensionati che non hanno avuto neppure gli 80 euro, immaginare una misura contro la povertà. Le priorità sono queste, e non certo consentire alle famiglie ricche di non pagare la tassa sulla casa.

 

Per Civati, “quella di Renzi non è più neppure un’evoluzione del berlusconismo, è Berlusconi”…

Non sono interessato a paralleli di natura antropologica. Noi dobbiamo guardare al significato politico della proposta su Imu e Tasi, che non è sbagliata semplicemente perché l’aveva già avanzata Berlusconi, ma perché oggi non è quella la priorità per il Paese. Renzi sbaglia a volersela intestare per dare quasi un messaggio simbolico a un pezzo di elettorato di destra. E’ una mossa che rischia di essere sterile sul piano elettorale e poco efficace su quello economico.

 

(Pietro Vernizzi)