Caro direttore, è debole, confusa, generica la legge delega che dovrebbe regolare la pratica delle intercettazioni e la loro diffusione presso l’opinione pubblica. Legge delega assai anzi troppo ampia perché pur di chiudere in fretta la partita alla Camera, si è demandata la polpa della legge al governo.
Alla fine, a mio giudizio, prevarranno così – come già stanno dominando oggi – i desiderata delle due maggiori lobby di intoccabili sui diritti del cittadino. Quali sono le due corporazioni di cui sopra? Ovvio: quella dei magistrati e quella dei giornalisti. Non si parla qui del magistrato e del giornalista medio, che nessuno conosce, ma dei loro rappresentanti pesantemente implicati nel gioco del potere.
In origine, anni fa, quando si iniziò a sollevare la questione dell’abuso, nessuno mise in dubbio l’utilità di questo strumento di controllo delle conversazioni telefoniche o no, ma la loro assolutizzazione. Quella specie di religione per cui una frase detta e registrata di nascosto era la prova regina, a prescindere dal contesto, dal tono, dal buon senso.Piero Tony, il procuratore di Prato dimessosi per non poterne più, ha descritto nel suo “Non posso più tacere” (recensito qui da Giorgio Vittadini) come sia indecente questa attitudine tutta italiana.
Insomma si trattava di tutelare con la riforma delle norme sul tema la persona! Semplicemente il singolo! Che cosa c’è di più prezioso e sacro della conversazione con l’amato, con un amico? Che diritto hanno gli altri di propalare una battuta scherzosa, un giudizio privato?
Eppure ben lungi dal punire delitti e tutelare la sicurezza dei più deboli, l’intercettazione si è trasformata nella licenza di distruggere la reputazione della gente, nel permesso fornito dalla legge al voyeurismo più pruriginoso.
Magistratura e giornali sono solidali – salvo punte di coscienza minoritarie – in questa rivendicazione del loro rispettivo potere: diritto di giustizia e diritto di cronaca, lo chiamano. E non importa se è la semplice facoltà di gettare napalm dove capita capita, pur di colpire un nemico e trasformarsi in purificatori del mondo.
Ovvio: il diritto di cronaca è un bene fondamentale per la democrazia. Ma depredare la vita privata, fosse anche di persone pubbliche, è un veleno della vita sociale, una decapitazione in piazza senza neppure la possibilità di difendersi.
Il tutto a discapito dell’articolo 15 della Costituzione, primo comma, assai dimenticato anzi travolto, come chiunque abbia un minimo di coscienza, magari persino giornalista o magistrato, deve riconoscere: “La libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili”.