“L’unica alternativa a un accordo che preveda regole comuni per i Paesi mediterranei come l’Italia e i Paesi del Nord come la Germania è la guerra”. Lo afferma il senatore Mario Mauro, presidente dei Popolari per l’Italia, ex ministro della Difesa ed ex vicepresidente del Parlamento europeo. Per il senatore Mauro, “il referendum greco indica la strada lungo la quale si può uscire dalla crisi. Serve un grande referendum che coinvolga tutta l’Europa, per decidere quattro o cinque questioni fondamentali per il nostro futuro tra cui l’unione fiscale e la gestione comune delle frontiere esterne”.

Come legge il risultato del referendum in Grecia?

Il voto greco va innanzitutto rispettato. Renzi sbaglia a leggervi una sorta di spareggio tra euro e dracma, perché è evidente che dietro c’è molto di più. C’è un giudizio negativo sull’Europa da parte di gruppi come gli aderenti alla Destra sovranista greca. Ma anche quanti hanno votato “sì” in realtà non vogliono l’Europa così com’è. Il referendum non si riferiva a un giudizio contingente tecnico su euro e dracma, ma spaziava invece sul senso stesso e sul progetto politico dell’Unione europea.

Che cosa ne pensa del modo in cui i leader europei hanno reagito alla vittoria dei “no”?

Le dichiarazioni dei protagonisti europei la dicono lunga sul loro stato d’animo e sulla loro reale disponibilità. L’insistenza sul fatto che adesso sarà Atene a dover fare una proposta è realmente paradossale. Personalmente lo ritengo un errore che si aggiunge a un errore. Solo Juncker ha cercato di gettare il cuore oltre l’ostacolo. Eppure oggi non bastano più le buone intenzioni, mentre bisognerebbe ricomprendere in modo critico gli errori degli ultimi 30 anni.

Italiani e tedeschi sono destinati a non capirsi. Non sarebbe meglio che ciascuno andasse per la sua strada come propone Grillo?

L’unico possibile esito storico della posizione di Grillo è il conflitto. Se non ci capiamo e ognuno va per la sua strada, dobbiamo essere consapevoli che prima o poi le nostre strade torneranno a incrociarsi. E se a quell’incrocio nessuno si fermerà in tempo, o non ci sarà un semaforo, finiremo per scontrarci. L’atteggiamento di Grillo è vuoto di una reale prospettiva storica perché porta a ripetere gli errori di un passato che ormai ci sembra lontanissimo, ma che può ripetersi molto prima di quanto possiamo aspettarci.

Con quali conseguenze?

Quel passato ha condotto le potenze europee a intraprendere due guerre mondiali, e oggi il problema della guerra in Europa è realissimo. Dietro le vicende della crisi c’è una sorta di guerra economico-finanziaria. Ma un conto è trovare una composizione sugli aspetti marginali di una crisi, un altro è quando ci sono gli eserciti schierati che marciano l’uno contro l’altro.

 

La convivenza forzata nell’euro non finisce per avvicinare la prospettiva di una guerra?

Non è così e l’esempio americano, per quanto lontano da noi, lo documenta. La Costituzione Usa non esclude in toto la possibilità di nuovi conflitti, ma genera anticorpi per cui in vista di un supremo bene comune si mettono da parte gli interessi dei singoli Stati.

 

Che cosa c’entra tutto ciò con l’Europa?

Molti problemi nascono dal fatto che oggi i Paesi dell’Est con un passato comunista sentono molto forte il senso del loro essere nazione. Per tanti anni gli Stati del Mediterraneo si sono limitati a utilizzare l’Ue come un bancomat, mentre non si sono organizzati come sistema Paese per cogliere i riflessi strategici di quella costruzione. Le nazioni del Nord sono state invece molto più in grado di compiere queste operazione. Da ultimi sono giunti i Paesi dell’Est, e il loro protagonismo esasperato ha costretto tutte le altre nazioni a ripensare il loro modo di stare in Europa. Questo però non consente di affrontare alcuni nodi di fondo.

 

Quali?

Gliene citerò una soltanto. Qualcuno mi deve spiegare perché dopo che l’Ue ha cancellato le frontiere interne, le frontiere esterne sono ancora una competenza nazionale. La ritengo una contraddizione palese.

 

Per risolvere questi nodi irrisolti da decenni bastano riunioni come quelle di ieri?

Riunioni tra gente senza coraggio e senza ideali difficilmente possono sortire un esito. Con l’eccezione forse di Mario Draghi e almeno a parole dello stesso Juncker, questo coraggio e questi ideali non si sono visti.

 

Lei è in grado di proporre una soluzione?

Occorre siglare delle intese condivise dai popoli. Se il popolo greco ha sentito il bisogno di un referendum, evidentemente non si riconosceva nella propria rappresentanza nelle sedi Ue. Questo non è un fatto che ci può lasciare indifferenti.

 

Di fatto che cosa si può fare?

La stessa cosa che avviene a livello nazionale quando un governo non ha più la maggioranza in Parlamento. Dopo il referendum greco dobbiamo prendere atto che l’assetto delle istituzioni, come è emerso dalle ultime elezioni europee, non risponde più al bisogno di rappresentanza dell’opinione pubblica. Le istituzioni vanno quindi riformate alla luce di questa nuova consapevolezza.

 

Quindi occorre andare a “elezioni anticipate”?

Preso atto che l’esito del referendum greco ci fa comprendere l’oggettivo deficit democratico delle istituzioni europee, rilegittimiamo queste stesse istituzioni attraverso nuove elezioni. Occorre però accompagnare l’individuazione dei rappresentanti del popolo a un giudizio chiaro dei cittadini dell’unione su alcuni temi chiave.

 

In che modo?

Possiamo recuperare in positivo l’insegnamento del referendum in Grecia. Io sento il bisogno di rilegittimare il disegno europeo chiedendo che i popoli si esprimano su alcune questioni chiave. I popoli vogliono veramente una politica estera di difesa comune da parte dell’Ue? I popoli vogliono veramente avere pari condizioni di competitività all’interno del mercato comune, avendo magari un unico sistema fiscale? Queste cose vanno chieste alla gente. La mia proposta è di organizzare un referendum in tutta Europa, senza mettere in discussione la decisione di avere un destino comune, ma ponendo a tema quattro o cinque questioni fondamentali.

 

Ci sono degli altri grandi nodi che vanno risolti con un referendum?

Sì, per esempio la questione del controllo delle frontiere, emersa alla ribalta con i recenti sbarchi dei migranti. Oppure la questione dell’unione fiscale, per dare un’ossatura a una costruzione europea che finora è stata troppo monetaria. Finché l’euro si applica in Paesi con discipline fiscali diverse, è come se ci fossero tanti concorrenti a una stessa maratona, alcuni dei quali partecipano però con gli stivali pieni di sabbia.

 

Senatore, da quando è diventato referendario?

Un tempo non lo ero, ma oggi ritengo che possa essere la soluzione giusta. Se il quesito del referendum non sarà banalmente “Europa sì o Europa no”, ma come questa Europa va cambiata, avremo l’apporto migliore da parte della nostra gente.

 

(Pietro Vernizzi)