Abbiamo segnalato per tempo, su queste pagine, le somiglianze immediate fra Grecia 2015 e Italia 2011. Altri non l’hanno ancora fatto. Altri ancora sono corsi a rituffarsi nella cloaca “investigativa” del Bunga Bunga. Altro che “il passato che non passa” a Berlino: troppo forte – fra Milano e Roma – il terrore che la “ggente” comprenda che il Cavaliere non è stato “l’absolute evil” della storia italiana recente (e glielo sta dicendo quel Tsipras che Grillo è andato a omaggiare, uscendo dalla sua sterile fannullonaggine). 



Troppo forte l’imbarazzo di rinfacciare al Cavaliere di non aver indetto anche lui – da qualche predellino – un referendum “alla greca”: su quella lettera firmata anche dal governatore della Banca d’Italia Mario Draghi, già designato alla Bce, che imponeva al suo Paese un’austerity punitiva. Troppo il timore di “investigare” anche sui derivati che hanno avvelenato la finanza pubblica di Atene fin dal 2001: sotto la supervisione dell’allora executive vicepresident della Goldman Sachs per l’Europa, Mario Draghi. 



Troppi i dubbi che le banche italiane – nemico pubblico numero uno – riemergano nei fatti come vittime e non come colpevoli sommari della grande recessione italiana. 

Troppo angoscioso anche solo pensare che Mario Monti abbia preteso in anticipo il laticlavio senatoriale a vita per fare il kapò nei confronti della collega Elsa Fornero: su, firma qui, asciugati quelle lacrimucce da donnetta che andiamo in tv a riformare l’Italia. Troppo il fastidio di cancellare un po’ del discredito commiserevole rovesciato sulla Procura di Trani (in faccia alle coste greche) convinta che le grandi agenzie di rating abbiano colpito arbitrariamente e intenzionalmente l’Italia all’inizio dell’estate 2011: per conto di Washington e Wall Street e tenere sotto pressione l’Ue tedesca. 



Troppo pericoloso interrogarsi sui come e perché – tuttora non noti e chiari – della “guerra di Libia” di quella stessa estate: quella che ha sradicato l’Eni, dato campo libero all’Isis nel Nordafrica e affollato di barconi il Canale di Sicilia.

Troppa la paura di scoprire – infine, anzitutto – che il segretario-premier Matteo Renzi non è il primo leader della Terza Repubblica, ma l’ultimo della Seconda.