Continua il confronto sulle riforme, anche se forse, come spesso accade, si dovrebbe parlare d’altro; ad esempio della nuova autorità, separata dalla Commissione europea, alla quale Wolfgang Schäuble, ministro tedesco delle Finanze, e Jens Weidmann, presidente della Bundesbank, vorrebbero riservare il compito di controllare i conti dei paesi membri. E si scoprirebbe, come spesso accade, che i problemi si toccano. Anche Alessandro Mangia, costituzionalista, sta seguendo il dibattito sulle riforme, ma ne ha un’opinione singolare. “Molti colleghi costituzionalisti stanno rivelando un grave difetto: quello di prendere sul serio queste cose. E’ stata alimentata ad arte l’impressione che si tratti di problemi sorretti da complessi ragionamenti di carattere istituzionale, che in realtà mancano del tutto”.
Sarà per questo che tutto il dibattito, nel volgere di pochi giorni, è finito nel caffè di Renzi a Pontassieve?
Credo proprio di sì. Prima si vuol dare il premio di maggioranza al partito di governo, poi si scopre che forse questo rischia, allora si chiede un aiuto a Berlusconi, quindi si torna al premio di maggioranza non più alla lista ma alla coalizione, e altro ancora. Manca del tutto una riflessione di natura istituzionale. Quello che vediamo all’opera è il modo in cui si fanno i regolamenti comunali. E neanche quelli importanti.
Che cosa si dovrebbe fare secondo lei?
La verità è che non si dovrebbe fare nessuna riforma costituzionale, invece la si fa solo per esibirla davanti alla Commissione europea e dare un segnale di cambiamento ai mercati.
Una merce di scambio. Per che cosa?
Per poter dire che sappiamo fare le riforme e velocizzare i processi decisionali all’interno del paese. Stiamo assistendo al perfetto aggiramento dei meccanismi tradizionali di legittimazione delle decisioni pubbliche.
In altri termini, a una drastica riduzione dei luoghi della democrazia.
Esatto. Alla trasformazione del parlamento in un luogo di ratifica delle decisioni del governo, alla rimozione dei consigli provinciali, alla squalificazione delle regioni. Mentre i consigli comunali non servono nemmeno più per dare la maggioranza ai sindaci visto che questi sono eletti direttamente dai cittadini. E’ l’ideologia della governabilità e dell’accentramento del potere: semplificare per poter fare qualunque cosa più in fretta e con meno resistenze in nome del “fate presto”.
Non crede che tutto ciò possa servire a governare meglio?
Se stiamo a quanto è sotto i nostri occhi, direi piuttosto che è funzionale a processi decisionali che avvengono al di fuori del paese. Della Grecia come dell’Italia, domani di qualcun altro. In questo contesto, la Costituzione non è più la tavola della convivenza politica di un popolo. E’ solo un meccanismo di legittimazione — che dev’essere il più efficiente possibile — del potere decisionale del governo.
Non occorre adeguare la Costituzione ai tempi?
Adeguare la Costituzione ai tempi è un’espressione eufemistica per dire che i processi decisionali vanno adeguati alle richieste che provengono dai mercati finanziari. Stiamo assistendo a una riforma, lo ripeto, che si fa principalmente per compiacere e rassicurare l’Unione europea e i mercati finanziari, ovverosia, per essere più chiari, i detentori del debito pubblico italiano.
Ma il problema del nostro paese qual è, secondo lei?
Il problema dell’Italia non sono i meccanismi istituzionali, ma, da sempre, la selezione delle sue élites. Politiche, economiche e mediatiche. Le vere tre forme di potere che oggi decidono in casa nostra.
E anche l’Italicum era funzionale a questo, basato com’è sull’incoronazione dell’unico dominus della scena politica?
Certo. Accompagnato — come si sta facendo — da una drastica semplificazione dei processi di decisione politica.
Perfino la proposta di Schäuble e Weidmann sembra andare in questo senso.
E’ evidente. La si potrebbe definire, semplificando, un organismo pensato con lo scopo di togliere alla Commissione il potere di controllo dei bilanci pubblici degli Stati membri e per commissariare direttamente quelli in default, come è oggi la Grecia e come possono diventare Italia e Spagna, solo che da qualche parte convenga. Diversamente da me e da lei, Schäuble e Weidmann sono perfettamente convinti che nelle decisioni dell’Unione europea non ci sia alcun deficit di democrazia, perché sono decisioni assunte da governi democraticamente eletti. E infatti questo è il refrain delle istituzioni comunitarie. Anzi, sono convinti che la responsabilità dei governi di fronte agli elettorati sia un male, che impedisce l’applicazione delle regole di bilancio. Ma il gioco di prestigio del metodo intergovernativo consiste proprio in questo, nell’eludere la responsabilità politica dei singoli governi nei confronti delle opinioni pubbliche nazionali e nel far sembrare democratico un processo decisionale che ne è l’esatto opposto. Se non si identifica il decisore non c’è possibilità di controllo politico.
E un potere che non sia controllabile…
…è esattamente ciò che costituzioni e costituzionalismo sono nati per escludere e limitare. Opinioni del genere, del resto, non sono limitate alla sola Germania. In Italia solo qualche settimana fa Mario Monti si è chiesto, in televisione, con candore disarmante, se per caso tutta questa democrazia non sia un pericolo per l’Europa e per il suo processo di crescita. Più chiaro di così…
Che cosa vede per l’Italia a medio-breve termine?
Il protrarsi della stagnazione e una progressiva degenerazione istituzionale. Proprio come quella che stimo sperimentando adesso. Non a caso Bloomberg ha detto che la luna di miele di Renzi è finita e che le sue promesse elettorali si sono scontrate “con una economia oberata dal debito” (John Follain, Bloomberg, 12 agosto, ndr).
Lei prima ha detto che il problema dell’Italia è quello delle sue élites. Vuole spiegare meglio?
Sono quelli che Giulio Sapelli definisce “poteri situazionali”. Sembra un’espressione astratta, perfino incomprensibile fino a che non se dia un esempio tra i molti possibili. E allora tutto diventa chiaro. Si tratta di circoli che si autolegittimano, vivendo della loro rendita di posizione. E puntualmente, come accade da tempo, svendono il paese all’esterno in cambio di un ruolo di vassalli locali. La storia d’Italia, anche meno recente, è fatta di vicende di questo genere. Ed è questo il motivo della storica sufficienza dei nostri vicini nei confronti dell’Italia: la qualità delle sue élites.
Bernardo Mattarella, figlio del capo dello Stato, è allievo di Sabino Cassese — che ha firmato oggi un editoriale sul Corriere dal titolo “Una burocrazia del merito che può limitare la politica” — e lavora alle riforme con Maria Elena Boschi. E’ allievo di Cassese anche Giulio Napolitano, figlio dell’ex Capo dello Stato…
I nomi li ha fatti lei, non io… A proposito di Napolitano: sarebbe opportuno chiedersi come mai, se non è più presidente della Repubblica, intervenga così pesantemente per tenere in piedi un percorso riformatore che ormai fa acqua da tutte le parti. Credo che sia piuttosto preoccupato.
(Federico Ferraù)