Caro direttore,
quale politica migratoria ha l’Italia? È una domanda che si pongono analisti e politici, studiosi della contemporaneità ed accademici. Se lo chiede spesso il suo quotidiano online. Se lo è chiesto — nel “mio” Veneto attraversato su questo tema da tensioni sociali preoccupanti non riconducibili a “egoismo” — in modo molto efficace nei giorni scorsi Giancarlo Corò, economista e docente universitario a Venezia, che da anni dedica studi e analisi al tema dello sviluppo internazionale.



Personalmente a questa domanda ne aggiungo una più vasta, globale e radicale: mi chiedo cioè quale politica migratoria abbia l’intera Unione europea, perché sia Bruxelles che Roma hanno lo stesso vizio, l’assenza di una strategia e di una visione lungimirante capace di attivare soluzioni che superino la fase dell’emergenza e gettino le basi per una gestione organica e strutturale del fenomeno migratorio.



L’assenza di politiche europee ha determinato l’improvvisazione dilettantesca a cui stiamo assistendo, segnata non solo dallo scaricare nel decentramento ogni tipo di problema ma anche dal sottovalutare gli aspetti di ordine pubblico e sicurezza che, almeno in Italia, stanno diventando dirompenti.

Eppure proprio l’Unione Europea aveva lo strumento perfetto per prevenire e affrontare per tempo non solo quella che poi sarebbe diventata quell’emergenza umanitaria a cui stiamo assistendo. Penso a quel “Partenariato euromediterraneo” previsto dalla Dichiarazione di Barcellona (novembre 1995), che diceva: “L”Unione europea istituisce un contesto di cooperazione multilaterale con i paesi del bacino mediterraneo. Tale partenariato rappresenta una nuova fase nelle loro relazioni, affrontando per la prima volta gli aspetti economici, sociali, umani, culturali e le questioni di sicurezza comune” aggiungendo poi “Il primo obiettivo del partenariato mira a favorire la nascita di uno spazio comune di pace e di stabilità del Mediterraneo”. Non si perde certo del tempo a rileggere quel documento in cui gli aderenti dichiarano di voler “combattere il terrorismo, la criminalità organizzata e il traffico di droga; promuovere la sicurezza regionale, eliminare le armi di distruzione di massa…”.



Primo passo dopo Barcellona sarebbe stata l’istituzione di un’area di libero scambio che favorisse la circolazione di merci, persone, capitali e imprese e avviasse di politiche cooperazione per il partenariato sociale, umano e culturale. Si era nel 1995 e oltre ai Paesi Ue aderirono Algeria, Egitto, Israele, Giordania, Libano, Marocco, Siria, Tunisia, Turchia, Palestina. Mancava solo la Libia di Gheddafi che aderì comunque nel 2000. Il Partenariato euromediterraneo sarebbe stato il primo passo per una vera politica mediterranea allargata ovviamente anche ai Paesi balcanici ed estesa fino al Caucaso e al Golfo: parliamo di tutte le zone oggi a maggiore instabilità socio-politica, in cui si giocano le prospettive di pace e prosperità non solo dell’Europa.

La storia ha avuto ben altri sviluppi, ma ciò non toglie che occorra ritornare ad una visione strategica del Mediterraneo, questo a maggior ragione oggi quando — con il raddoppio del Canale di Suez e le grandi reti ferroviarie euroasiatiche che uniscono la Cina alla Turchia — si aprono nuove e grandi opportunità per l’economia dell’intero bacino.

L’emergenza migratoria rischia di destabilizzare l’intero fronte meridionale europeo e non casualmente sta colpendo le due realtà, Italia e Grecia, che, contemporaneamente, rappresentano le emergenze della crisi economico-finanziaria europea, con le due economie che segnano il passo, i maggiori problemi occupazionali, di welfare e di debito pubblico. Grecia e Italia, specificatamente  il Mezzogiorno italiano, rischiano di  trasformarsi in polveriere micidiali: sono una bomba ai piedi del gigante europeo.

Non credo che la destabilizzazione si fermerà al Volturno: quanto è accaduto a Calais è un primo pallido segnale. Chi, a Bruxelles come a Roma, pensa che basti qualche centinaio di milioni di euro per vincere questa sfida o è in malafede o non ha capito nulla di quanto sta accadendo.