Dopo il deludente risultato elettorale ora il deludente risultato del Pil, ma il presidente del Consiglio non indietreggia e accelera. Cedere oggi sull’elettività del Senato significa per il capo del governo ammettere di essere in minoranza: una prospettiva di sopravvivenza dipendendo da avversari e concorrenti.



E’ vero che il vertice del Pd ha aperto le trattative, ma con quali possibilità? Berlusconi non è disponibile a un nuovo “usa e getta”, vuole un’intesa al di là della riforma istituzionale e che quindi si protrae nel tempo. Ma un rinnovato accordo con Berlusconi alimenterebbe un rafforzamento della dissidenza interna al Pd e metterebbe le ali a Beppe Grillo e a Matteo Salvini con la prospettiva di trasformare la chiamata alle urne nel 2016 sulla riforma istituzionale in un rischioso referendum sul patto Renzi-Berlusconi. 



Ugualmente poco percorribile è l’accordo tra Renzi e l’opposizione interna che implicherebbe una maggiore “collegialità” ovvero condizionamento all’interno del Pd. E’ ormai evidente che nel Pd si punta a scalzare Renzi dalla segreteria al prossimo congresso del 2017 aprendo la strada ad altre leadership nelle elezioni del 2018. E nel Pd crescono le crepe regione per regione. Renzi voleva cacciare Marino e Crocetta e non c’è riuscito. Puglia, Campania, Sicilia sono di fatto “repubbliche indipendenti” e persino in Toscana il presidente della Regione, Enrico Rossi, annuncia la discesa in campo per la segreteria Pd twittando “Matteo stai sereno”. 



La strada che sembra aver già imboccato Renzi è quindi quella di “tenere botta” ovvero lo scontro frontale agitando da un lato la minaccia delle elezioni anticipate e dall’altro quella della scissione del Pd. I margini in tal senso appaiono più favorevoli di quelli di un compromesso con gli oppositori. Con il timore di scioglimento delle Camere, in un Senato di nominati-transfughi dove a decine sono i cortigiani caduti in disgrazia in cerca di un nuovo protettore non è difficile conquistare qualche adesione. In parallelo anziché far crescere la dissidenza nel Pd, Renzi punta a porre ai 28 disubbidienti l’aut aut della scissione che inevitabilmente gli consentirà di recuperarne una parte. Con la prospettiva di elezioni anticipate e scissione del Pd il conglomerato dei 174 oppositori sarà difficilmente marmoreo. 

In questo momento il premier non ha ancora i numeri, ma nell’isolamento cerca di fotografare agli occhi dell’elettorato i suoi avversari — Beppe Grillo con Silvio Berlusconi insieme a Salvini e Bersani — come una “Armata Brancaleone” che si oppone al rinnovamento per mantenere lo status quo.

Ciò che in realtà minaccia Renzi non è l’assemblea dei capricciosi senatori, ma il cupo vertice dello Stato. Renzi per il Quirinale ha cioè fatto lo stesso errore — o comunque la stessa scelta politica — di Bersani e cioè eleggere le più alte cariche dello Stato “buttandosi a sinistra”. Mattarella-Grasso-Boldrini sono personalità che, una per una, appaiono ineccepibili, ma messe insieme nel segno del “nessun nemico a sinistra” incombono come una “troika”. 

 Non bisogna infatti esagerare con il sottovalutare il presidente della Repubblica. Sergio Mattarella ha scelto un “profilo basso”, ma ha una storia e una identità molto caratterizzate e sempre più chiaramente emerge il suo proposito di promuovere dal Quirinale una stagione di risanamento morale e sociale — giustizialista — che vede Pietro Grasso da Palazzo Madama proporsi come ideale interprete. 

La stessa minaccia da parte di Renzi di elezioni anticipate con questa “troika” diventa fragile. In primo luogo non è scontato che sia il governo in carica a gestirle. Renzi non ha alle spalle un’investitura elettorale e se non ha più la fiducia del Parlamento formalmente agli occhi del Quirinale è un non parlamentare con un governo di transfughi. A ciò si aggiunge la ovvia necessità di un governo “di garanzia” per approvare la nuova legge elettorale secondo le indicazioni della Corte Costituzionale (di cui faceva parte Mattarella) e la legge di Stabilità in coerenza con Bruxelles.