La domanda cominciano a porsela, gli addetti ai lavori: dov’è finito Matteo Renzi? Da giorni ormai il premier-segretario è sparito dai radar, e sarà probabilmente così sino a martedì, quando prenderà la parola dal palco del Meeting di Rimini e subito dopo a Pesaro. E’ un fatto però che gli interventi pubblici siano un ricordo da un paio di settimane. E persino sui social network i profili di Renzi conoscono un lungo silenzio, assolutamente distante dall’energico modo di fare politica cui il presidente del Consiglio ci ha abituato.
Neppure la colossale figuraccia che l’apparato dello Stato ha fatto nel caso dei funerali show del “Padrino” Casamonica hanno indotto il premier a rompere il silenzio. Addirittura ha fatto smentire dal suo ufficio stampa qualunque contatto con il sindaco di Roma, Ignazio Marino. Per la capitale la decisione verrà presa nel Consiglio dei ministri di giovedì 27. Palazzo Chigi non nasconde la sua irritazione per la totale mancanza di controllo del territorio, ma ha già deciso che il danno d’immagine derivante dal commissariamento della capitale alla vigilia del Giubileo sarebbe troppo grande. Marino, dunque, finirà sotto la tutela del prefetto Gabrielli, almeno per il momento.
Ma dietro il silenzio di Renzi con ogni probabilità si nasconde molto di più dell’imbarazzo per il caso Roma. Uno avvezzo come lui alla comunicazione non può certo ignorare l’effetto attesa, che si può far crescere con il silenzio. Il discorso di Rimini è in preparazione da un paio di settimane, perché nelle intenzioni dell’inner circle renziano deve segnare una scossa, un nuovo inizio.
Solo con un salto di qualità si può uscire dalle secche che si preannunciano all’orizzonte. L’agenda di settembre è di quelle da farsi venire il mal di testa, i fronti sono troppi, anche per Renzi. Le riforme costituzionali, quella del processo penale, le unioni civili, la Rai, la riforma del processo penale con il velenoso allegato delle intercettazioni telefoniche, la legge sul conflitto d’interessi, lo jus soli per gli immigrati che nascono in Italia.
In Parlamento Renzi rischia di finire fra due fuochi su ciascuno di questi argomenti. Da una parte le opposizioni, dall’altra le minoranze di casa sua. Su ciascuno potrebbe cercare di costruire maggioranze variabili. Ad esempio, con Sel e 5 Stelle per approvare le unioni civili che non piacciono ad Alfano e Lupi. Oppure con Berlusconi per la revisione della Carta costituzionale, che non va giù ai malpancisti targati Pd. Uno scenario ad altissimo rischio, dove la possibilità di andare a sbattere si anniderebbe in ogni passaggio. Neppure un rimpasto di governo — che pure è allo studio — può bastare a mettere il governo al riparto dal rischio di un KO.
Ecco allora la necessità di un rilancio, da consumato giocatore di poker. Ci vuol poco a capire che questo nuovo inizio non può che avvenire sul terreno dell’economia, che sinora proprio non ne vuol sapere di ripartire. Il vero banco di prova per la seconda fase del governo Renzi sarà quindi la legge di stabilità. I tecnici di Palazzo Chigi e del ministero dell’Economia ci hanno lavorato febbrilmente per tutto il mese di agosto. Imperativo recuperare risorse da immettere nel circuito produttivo. L’importo della manovra è lievitato di giorno in giorno. Ora pare arrivato a superare i 25 miliardi di euro per avvicinarsi ai 30. Una decina di miliardi di tagli (che faranno sicuramente imbestialire sindaci e governatori), poi la richiesta di maggiore flessibilità all’Europa. La scossa a quel punto non potrà che avvenire sul terreno fiscale, sul duplice versante del sostegno alle imprese e della revisione del meccanismo delle detrazioni, una giungla quasi inestricabile. Lo aveva annunciato nella lettera ai parlamentari democratici del 5 agosto: “La ripresa non è più una chimera”.
Se sarà così o meno lo stabilirà soprattutto l’alchimia della manovra economica in preparazione, che verrà ritoccata sino all’ultimo minuto. Dovrà convincere sia gli imprenditori, sia i sindacati. Farlo contemporaneamente non sarà affatto un’impresa facile. Se il mix riuscirà a sprigionare una ventata di ottimismo, la scommessa dei rilancio pokeristico sarà vinta. In caso contrario, Renzi corre forte il rischio delle sabbie mobili.