1. Nell’introdurre l’incontro dedicato a Ripartire dal basso. Implicarsi per il bene di tutti, al Meeting di Rimini Giorgio Vittadini ha riproposto un noto giudizio di don Giussani sul rapporto tra cristiani e politica: «una comunità cristiana autentica vive in costante rapporto con il resto degli uomini, di cui condivide totalmente i bisogni, e insieme coi quali sente i problemi. Per la profonda esperienza fraterna che in essa si sviluppa, la comunità cristiana non può non tendere ad avere una sua idea e un suo metodo d’affronto dei problemi comuni, sia pratici che teorici, da offrire come sua specifica collaborazione a tutto il resto della società in cui è situata». 



Nel contempo, nell’introduzione dell’incontro è stato ricordato l’altrettanto noto richiamo di don Giussani sulla necessità di «un’irrevocabile distanza critica» dai cristiani che vivono un’esperienza di militanza partitica, prospettando un «ripartire dal basso» come strada di una possibile risposta a una presenza politica ridotta a schieramento privo di tensione ideale. 



2. Le citazioni richiamate da Vittadini — riproposte da Comunione e Liberazione, rispettivamente, in un volantino del maggio scorso e in una nota dell’ufficio stampa del gennaio 2013 — sono tratte da un passaggio di una famosa conversazione di don Giussani con Robi Ronza (oggi in L. Giussani, Il movimento di Comunione e Liberazione (1954-1986). Conversazioni con Robi Ronza, Milano, 2014). Una lettura integrale di tale passaggio offre numerosi spunti di giudizio per proseguire nella discussione avviata dagli interventi di Luciano Violante e Mauro Magatti all’incontro del Meeting. 



3. L’osservazione sul costante rapporto tra cristiani e il resto degli uomini riguarda quello che don Giussani chiama «un secondo e più esplicito livello» dell’incidenza politica di una comunità cristiana (L. Giussani, op. cit., p. 153). Tale secondo livello è «strettamente connesso» con un livello precedente che è la «stessa esistenza» della comunità cristiana, «in quanto questa implica uno spazio e delle possibilità espressive, e perciò presuppone una gestione autenticamente democratica del potere pubblico e della realtà politica e statuale in cui si colloca» (L. Giussani, op. cit., p. 152). 

Alla vita della comunità cristiana autentica è strettamente connessa anche l’irrevocabile distanza critica rispetto a quanti sono direttamente impegnati nella vita politica. Ecco come ne parla don Giussani: «per essere riconosciuti, per essere oggetto dell’attiva simpatia» caratteristica «di chi non può non condividerne l’ispirazione» e «per venire più facilmente seguiti dai membri delle nostre comunità, essi devono partecipare e accettare continuamente che le loro scelte siano sottoposte al giudizio comune, che emerge dalla vita della comunità, dai suoi bisogni e dai criteri che in essa si affermano e trovano verifica. E a questa distanza critica noi non rinunceremo mai» (L. Giussani, op. cit., p. 155). 

4. Tali giudizi di don Giussani aiutano ad approfondire alcuni dei temi affrontati al Meeting. In primo luogo, identificare il primo livello di incidenza politica della comunità cristiana nella sua stessa esistenza precisa, con immediate conseguenze operative, il ruolo dei “corpi intermedi” sottolineato nel corso dell’incontro da Violante e Magatti. Con osservazione che entra nel vivo delle odierne discussioni su programmi scolastici, scuole paritarie e obiezione di coscienza, ricondurre la comunità cristiana al novero dei corpi intermedi pone la questione del riconoscimento reale di spazi e possibilità espressive, secondo, appunto, una logica di gestione autenticamente democratica del potere pubblico, che — al contrario — recenti forme di intolleranza lasciano intendere non essere per nulla scontata. 

Altrettanto rilevanti le implicazioni nella discussione sul rapporto tra la comunità cristiana e i propri esponenti direttamente impegnati in politica. In dialettica con alcuni commenti comparsi in questi giorni sulla stampa — che contestano agli organizzatori del Meeting di stare sempre con il potere o, all’opposto, ne celebrano il ritorno alle origini dopo una stagione dedicata all’occupazione di poltrone —, l’osservazione di don Giussani chiarisce i termini della questione. Non si tratta di scansare l’esercizio del potere, che della politica è un aspetto specifico e rientra tra gli «strumenti di incidenza politica sia teorici che pratici» (L. Giussani, op. cit., p. 154). Decisiva è, piuttosto, l’appartenenza vissuta alla comunità cristiana, in cui la distanza critica è più prossima all’implicazione affettuosa dei genitori verso i figli che al tenere accuratamente le distanze. 

5. In questa prospettiva, il riferimento al «ripartire dal basso» assume un significato che, andando oltre la semplice indicazione metodologica, approfondisce le osservazioni di Violante sulla parola “comunità” e risponde all’invito di Magatti a ripensare la natura dei corpi intermedi. La comunità cristiana ha, per sua natura, un’irriducibile personalità. Con espressione molto amata da don Giussani, Paolo VI avrebbe detto che è un’etnia sui generis

Ripartire dal basso coincide — per i cristiani — con il ripartire da questa originalità.