Dicono i manuali di strategia militare che uno dei metodi più efficaci per fiaccare un esercito è quello di aprire nuovi fronti. Sempre ammesso che se ne abbia la forza. Matteo Renzi è l’uomo da battere oggi, il nemico pubblico numero uno. E sembra essere caduto nel tranello di aprire un dossier dopo l’altro, finendo sotto attacco da una molteplicità di direzioni.



Il premier ci ha messo del suo per trovarsi in questa situazione. Basta pensare al fronte polemico aperto con i sindacati sulla regolamentazione del diritto di sciopero e sulle regole per la rappresentanza. Il tutto senza curarsi degli effetti sull’elettorato di sinistra, quello cui mostra maggiore vicinanza la minoranza all’interno del Pd. 



Ma il quadro è più complesso di quanto non possa sembrare. E, se vogliamo, ancora più contraddittorio. I suoi fronti di scontro Renzi li ha aperti in ogni direzione, non in una sola. Nei confronti dell’elettorato moderato sono argomenti scabrosi quelli relativi ai diritti civili, come le unioni civili, su cui il gruppo dirigente del Pd vuole chiudere al più presto. Oppure la questione dell’Imu per le scuole cattoliche. O, ancora, la sbandierata intenzione di accelerare in autunno con il riconoscimento della cittadinanza secondo il principio dello ius soli ai figli degli immigrati nati e cresciuti nel nostro paese. 



Non tutte le questioni sono state sollevate da Renzi, che — ad esempio — avrebbe fatto volentieri a meno della grana dell’Imu per le scuole paritarie, sollevata dalla Corte di Cassazione. Ma su unioni civili e ius soli l’anima centrista della sua maggioranza (e anche qualche frangia del suo partito) sono in trincea da tempo per impedirgli di fare un solo passo avanti. Un pantano in cui sfibrare il premier, come gli americani nelle foreste dell’Indocina e lungo le rive del fiume Mekong.

L’immagine del Vietnam parlamentare è stata evocata da alcuni esponenti della minoranza dem in relazione alle riforme costituzionali all’esame del Senato. A Palazzo Madama i numeri sono quanto mai incerti, nonostante il più che probabile supporto dell’Ala verdinana, che non è in grado di sostituirsi completamente all’opposizione interna al Pd, che vanta numeri più che doppi, 22/23 senatori dissidenti in casa democratica, contro un manipolo di dieci ascari agli ordini di Denis Verdini. 

Ma l’elenco dei temi scottanti per Renzi è ancora molto lungo. E ancora più contraddittorio, quanto a interessi e gruppi di potere toccati. Ci sono i sindaci in subbuglio, perché gli ultimi dati certificano una pressione del fisco locale oltre il livello di guardia per compensare i tagli decisi dal governo centrale. E i sindaci sono in netta maggioranza espressione del Pd e della sua area culturale. 

Ci sono i giornalisti della Rai in trincea contro una riforma del servizio pubblico radiotelevisivo che ha perso per strada molti pezzi, salvo che l’intenzione di un più stretto legame fra Palazzo Chigi e Viale Mazzini. E l’Usigrai (il sindacato dei giornalisti Rai) gravita storicamente nell’area del centrosinistra.

Da non dimenticare le partite complesse sul Sud in difficoltà, con il grido di dolore di Roberto Saviano, o la contestata riforma della pubblica amministrazione che sembra ormai in dirittura di arrivo in parlamento. 

La strategia messa in campo per affrontare così tanti nemici è duplice: rilancio e rinvio. Appartengono al primo metodo l’invito ai sindaci a lavorare di più, oppure al Sud di smettere di piangersi addosso. O ancora la sfida ai sindacati ad accettare regole nuove che finalmente attuino l’articolo 39 della Costituzione proprio sull’organizzazione delle organizzazioni rappresentative dei lavoratori.

Più sottile — e insieme scivolosa — la tattica del rinvio. Renzi l’ha scelta sul tema politicamente più delicato, quello delle riforme costituzionali, su cui frontale ormai è lo scontro della sua minoranza interna. Ma in questo caso il rinvio potrebbe rivelarsi un’arma a doppio taglio, consentendo ai suoi avversari il tempo necessario per organizzare trappole e trabocchetti degni dei vietcong. 

Anche sulla Rai Renzi rischia, perché la sua riforma è stata derubricata a riformetta e nelle more dell’approvazione il rinnovo del Cda avverrà con la tanto vituperata legge che porta il nome di Maurizio Gasparri. E qui l’imboscata potrebbe arrivare subito, facendo mancare i voti necessari all’elezione dei sette consiglieri espressione della Commissione parlamentare di vigilanza. Un’ipotesi tutt’altro che peregrina, vista la farraginosità delle norme di designazione. 

Sin qui, però, la fortuna di Renzi è stata costituita dalla totale assenza di coordinamento fra i suoi avversari. Troppo distanti, troppo diversi, e in aperta competizione fra di loro per coordinare la loro azione. Allungarne ogni giorno la lista, però, potrebbe essergli fatale. Prima o poi questa saldatura non potrà che esserci nei fatti, per l’interesse convergente di molti nel far cadere il premier. Un rischio che potrebbe concretizzarsi in ogni momento.