Renzi ha annunciato per settembre un taglio delle tasse. “Il calo di consensi va avanti da molti mesi — spiega Carlo Buttaroni, politologo e presidente dell’istituto di ricerca Tecné —. C’è stato un recupero dopo l’elezione del presidente della Repubblica, dopo di che ha ripreso a scendere, mantenendosi molto lontano dal 41% delle europee. Ora Renzi sta facendo di tutto per invertire l’andamento”.
In cifre?
Nelle nostre ultime rilevazioni Renzi è sotto il 35%, oscilla tra il 32 e il 34. Al tempo stesso l’astensione è molto alta, ciò significa che i voti veri sono molto più bassi di quelli in percentuale misurati alle europee. Quindi quel consenso in qualche modo si dimezza.
L’astensione sta aumentando?
Sì. La politica, anche se dal punto di vista della comunicazione è diventata più fruibile perché fatta di slogan e di contenuti più poveri, è senza visioni di ampio respiro e tutto questo influisce sull’opinione pubblica, che la considera più che in passato una cosa per addetti ai lavori. Il consenso oggi è più labile, provvisorio.
Cosa pensano gli italiani?
Hanno l’impressione che la politica italiana sia sempre più subordinata a qualche interesse superiore, sia esso rappresentato dall’Europa o dai grandi interessi economici.
Europa significa anche e soprattutto moneta unica. Gli italiani vogliono l’euro o no?
Da una ricerca che abbiamo presentato di recente a Ventotene emerge che c’è scarsa fiducia a tutto campo: per le istituzioni locali, per quelle nazionali e per quelle europee. Però i più pensano che non possiamo né uscire dall’Europa, né uscire dall’euro.
Torniamo al calo di Renzi e del Pd. Come lo spiega?
Quando si alimentano attese così alte come ha fatto Renzi quando è andato al governo, le risposte devo essere altrettanto alte. Questo non c’è stato e dopo i grandi annunci il re è rimasto nudo. La Sicilia e Roma poi rappresentano due plateali smentite al rinnovamento.
Renzi non tocca né Roma né la Sicilia perché altrimenti M5s le prende entrambe. Quanto valgono i 5 stelle?
Alle nostre ultime rilevazioni era poco sopra il dato delle politiche 2013, dunque al 25-26%, con qualche punta al 27. M5s è la formazione con le oscillazioni più ampie e la sua forza è ancora quella di essere il grande invaso in cui confluiscono i delusi.
Chi attrae di più?
Ora sta attingendo prevalentemente al consenso del centrosinistra, nell’ordine dei 3-4 punti.
Lei ha mai contemplato l’ipotesi di un’alleanza tattica Lega-M5s?
Gli elettori di M5s e Lega hanno caratteristiche quasi speculari, ma su fronti quasi opposti, per questo è difficile che si possa trovare un’intesa politica. Non credo proprio che Grillo e Salvini ci pensino. Prevarranno gli interessi di ciascuno. Il no all’euro non basterebbe a costituire un fronte comune e il tema dell’immigrazione li divide.
Quanto vale la Lega di Salvini?
Il 14-15%, con un margine di espansione che può toccare al massimo il 18-20%. Il problema è che essendo un partito di una identità così netta e definita, con l’Italicum da sola non ce la può fare, deve allearsi. Su questa capacità si giocherà il suo risultato finale.
I vecchi amici di Forza Italia sono la soluzione obbligata?
E’ quella l’area cui si rivolge. Però è un cocktail difficile da costruire e chi rischia di più non è FI, che ha un orientamento nettamente più centrista e liberale, ma proprio la Lega. Snaturandosi, verrebbe meno quella discontinuità che ha in Salvini l’alimentatore principale del consenso.
I centristi sono destinati a sparire?
Molto dipende da quello che farà il Pd. Se si si accentua una fuoriuscita verso il nuovo spazio a sinistra, è evidente che il Pd non può più correre da solo. Con l’Italicum rischierebbe di ritrovarsi secondo o terzo, e dunque…
Insomma, l’Italicum ha messo nel sacco tutti.
In pratica sì. A bocce ferme ha dato un potere di coalizione ad alcuni partiti elevatissimo, ma se il sistema non è bipolare ma tripolare e tutti e tre i partiti sono tra il 25 e il 30 per cento, il baricentro che si costruisce nell’alleanza diventa strategico.
Il problema è che al ballottaggio non ci si può apparentare per coalizioni.
Appunto. In questo scenario i centristi, facendo valere un peso politico molto superiore al loro consenso reale, possono diventare il partito che decide chi va al ballottaggio in una coalizione o nell’altra.
E lo spazio a sinistra del Pd cui ambiscono Sel, Landini, Fassina e Civati, eccetera?
E’ solo virtuale. Quell’area è segnata da una grande ansia di rinnovamento, ma il suo parterre è fatto di persone che vengono da storie consumate, esponenti di una fase politica che si è esaurita. Manca loro uno Tsipras italiano.
Roma e Milano saranno decisive per la politica nazionale? O vi vedremo nuovi esperimenti, altri giochi?
Da adesso in poi ogni elezione avrà un carattere nazionale. Assisteremo a grandi correnti d’opinione in cui la questione locale conterà molto meno che in passato. A Milano, Fiano è un buon candidato di centrosinistra, mentre nel centrodestra prima viene Salvini, poi Lupi. A Roma M5s è in testa ma la situazione è fluida perché non sappiamo quale sarà la sorte di Marino. La realtà è che sono esercizi virtuali, perché tutto si misura nel momento in cui ci sono i candidati reali. Salvini per esempio ha già dichiarato che non si candiderà.
A proposito di M5s. Di quanto potrebbe crescere?
Parte in vantaggio sia sul centrosinistra sia sul centrodestra, perché è il partito classico della seconda scelta, e con l’Italicum potrebbe realmente vincere le elezioni.
(Federico Ferraù)