“Diamo la possibilità ai cittadini di esprimere una preferenza sul nome da candidare per il Senato, lasciando però l’ultima parola al consiglio regionale di appartenenza. In questo modo si salvaguardano tanto il diritto degli elettori a scegliere, quanto il principio dell’elezione indiretta”. E’ la proposta di Luciano Violante, ex presidente della Camera dei Deputati. Un modo per concretizzare le aperture manifestate martedì sera dal presidente del Consiglio, Matteo Renzi, durante l’assemblea del gruppo del Pd al Senato: “Non vogliamo un muro contro muro e i toni profondamente esasperati di questi giorni. Non diciamo prendere o lasciare ma proprio perché è la Costituzione, non hanno senso barricate”.
Come vede l’impasse che si è creato? E’ di natura tecnica o politica?
Credo che sia di natura prevalentemente politica.
Perché?
Al centro del conflitto c’è il rapporto tra minoranza e maggioranza del Pd. La questione della riforma del sistema elettorale del Senato è un aspetto del conflitto più generale, ma non è il cuore della questione.
Come valuta il modo di procedere del segretario?
Ritengo apprezzabile il modo con cui martedì Renzi ha affrontato la questione alla riunione del gruppo dei senatori Pd. Ed è stato apprezzato anche da parte di esponenti della minoranza. Quindi è auspicabile che si trovi una intesa.
Quella di Renzi è stata una reale apertura, o si è limitato a usare dei toni più soft?
Ha usato dei toni più soft, ma da parte sua c’è stata anche un’effettiva apertura. Ha detto che si può discutere, purché non si tocchi l’articolo 2, che aprirebbe la porta alla valanga di emendamenti presentati dal senatore Calderoli.
Perché secondo lei Renzi è arrivato a questa svolta?
Renzi si è reso conto che il braccio di ferro può essere distruttivo per la stessa maggioranza di governo. E poi spetta a lui, segretario del partito, cercare la via d’uscita.
Non crede che chiedere l’elezione diretta dei senatori da parte dei cittadini porti a dei gravi squilibri?
Porta a un cambiamento radicale della natura del Senato, che non rappresenterebbe più le Regioni e i Comuni, ma i territori. Infatti io non sono mai stato favorevole all’elezione diretta dei senatori che devono rappresentare le istituzioni regionali. E’ chiaro che se è eletto direttamente dai cittadini il senatore rappresenta il territorio e non più le istituzioni regionali, e dunque in teoria finirebbe per avere diritto a votare la fiducia.
Qual è la sua soluzione per concretizzare il dialogo?
La mia proposta è che quando va a votare per il consiglio regionale, l’elettore possa indicare sulla scheda anche il nome del candidato al consiglio regionale e del sindaco che egli propone siano candidati al Senato. In questo modo sulla base dei voti raccolti nelle Regioni si stabilisce quali siano i candidati per il Senato; ai consigli regionali spetta poi l’elezione sulla base delle liste di candidato determinate dal voto degli elettori.
Il fatto che i candidati senatori siano indicati sulla scheda non implica una decisione preventiva della segreteria?
No. Ci sarebbe solo una lista di candidati per il consiglio regionale, e all’interno di questa lista i cittadini sceglierebbero tanto i componenti “semplici” del consiglio regionale quanto quei componenti che sono candidati al Senato.
Nel momento in cui il nuovo testo costituzionale afferma che i senatori sono eletti dai consiglieri regionali, non si sancisce comunque il principio dell’elezione indiretta?
Tutta quanta l’impostazione della riforma costituzionale è per l’elezione indiretta, lo si capisce in tanti modi. Per trovare un punto di equilibrio, i cittadini elettori designano i candidati e all’interno di questi candidati chi sceglie è il consiglio regionale.
Alcuni osservatori rilevano che la vera posta in gioco è la natura stessa del Pd in quanto partito. Lei è d’accordo?
La ritengo una lettura esagerata. Una volta che si riuscisse a superare questa divisione, il Pd ne uscirebbe rafforzato, anche se non mancheranno, probabilmente, altri temi di divisione. Ma tutti devono tener conto che il conflitto politico deve comunque trovare un punto di chiusura, non può essere eterno.
La riforma del Senato sancisce il prevalere del partito carismatico del premier?
I partiti carismatici in quanto tali sono molto deboli; quando il titolare del carisma inciampa tutto il partito finisce per terra. Si guardi alla vicenda di Forza Italia. Altro è un partito solido che abbia un leader capace e stimato. Il problema del Pd è la solidità; bisognerebbe partire dalla ricostruzione del partito nelle città.
L’elezione indiretta di fatto non ci riporta al partito carismatico in cui è la segreteria a decidere tutto?
No. Perché sono i cittadini a indicare i candidati al Senato.
(Pietro Vernizzi)