E’ ancora all’ordine del giorno della politica la questione della riforma costituzionale e, in particolare, della riforma del Senato, che dovrebbe passare da camera politica a elezione diretta a Senato delle autonomie territoriali (elezione ad opera dei Consigli regionali tra i propri componenti più un sindaco), posta sul tappeto dalla minoranza Pd favorevole a mantenere l’elezione diretta.
La proposta, sul piano tecnico, non si giustifica a questo punto del processo: il cambiamento sarebbe radicale e comporterebbe uno stravolgimento dell’intero disegno della riforma con un probabile rallentamento dei processi fino al rischio dell’insabbiamento. Il che non risponde in nessun modo al primissimo intento della riforma, quello di dimostrare che l’Italia può cambiare; e la prova di questa capacità di cambiamento è la modifica della Costituzione.
La discussione avvenuta alla Camera, in prima lettura, ha apportato modifiche importanti ed interessanti; molti ulteriori cambiamenti potrebbero essere utilmente apportati se ci fosse una pausa di riflessione. Ma questo, come tutti possono facilmente immaginare, è di ogni processo riformatore, soprattutto se la materia da riformare è ampia come quella che abbiamo di fronte. Forse, a questo punto, conviene accelerare la chiusura, arrivando ad un risultato che è perfettibile sul piano tecnico e nei dettagli ma che mette un punto fermo alla discussione e, soprattutto, ridefinisce le linee portanti della forma di governo, dando inizio al processo di attuazione delle norme costituzionali. E’ qui che occorre far confluire le forze, perché la bontà della riforma si misurerà soprattutto dalla cura con cui vi si darà forma concreta.
Questo è vero per moltissimi aspetti della riforma ma, soprattutto, per la riforma del Senato: se i Consigli regionali sapranno inviare a Roma persone capaci di rappresentare i territori, competenti rispetto alle materie da esaminare e da trattare, esperte di procedure e a conoscenza degli interessi dei loro territori, allora il nuovo Senato potrà funzionare bene. E, in questo senso, la proposta di Luciano Violante volta a consentire l’espressione di una preferenza da parte degli elettori dei Consigli regionali (una sorta di designazione diretta, molto diversa dall’elezione diretta ma utile a recepire la sensibilità della cittadinanza rispetto ai candidati) può offrire il destro ad un pacificazione tra le parti contendenti. Essendo molto ottimisti, potrebbe anche essere che le indicazioni provenienti dagli elettori aiutino a scegliere le persone migliori.
Una simile proposta avrebbe poi il vantaggio di fare emergere le reali intenzioni degli oppositori al processo riformatore in atto: se di tipo politico, allora non sarà un’ipotesi di mediazione a raffreddare gli spiriti; se invece l’intento è genuinamente migliorativo, questo si evidenzierà dall’attenzione che a tale proposta verrà dedicata.