“Su 315 senatori, 176 hanno firmato emendamenti per chiedere di modificare l’articolo 2 della riforma costituzionale. Quelli critici sono dunque più della metà, e al momento del voto dovranno essere coerenti con i loro stessi emendamenti”. A rivelarlo è Paolo Corsini, senatore del Partito democratico ed ex sindaco di Brescia. Ieri il tavolo organizzato dal ministro per le Riforme costituzionali, Maria Elena Boschi, è saltato dopo che l’esponente della minoranza Pd, Doris Lo Moro, ha abbandonato i lavori in segno di protesta. “Ho lasciato la riunione perché non era efficace restarci. Il tavolo ha enucleato i temi di discussione che sono politici e richiedono una soluzione politica e non istituzionale”, ha commentato la senatrice Lo Moro. Mentre il senatore della Lega nord, Roberto Calderoli, ha osservato: “Il Senato, per come è uscito dalla riforma alla Camera, non servirà assolutamente a niente, in questo senso dovrebbe essere abolito”.



Senatore Corsini, che cosa ne pensa del fallimento del tavolo organizzato dal ministro Boschi?

Doris Lo Moro ha motivato la scelta di lasciare il tavolo alla luce delle dichiarazioni di Renzi di questa mattina, pubblicate sulla grande stampa nazionale, da cui emerge una totale chiusura e indisponibilità a discutere dell’articolo 2. Quando si apre un tavolo di confronto non ha senso recintare gli ambiti della discussione, ma ci si deve confrontare a 360 gradi. Se si parte con una preclusione è evidente che non c’è lo spazio per un confronto.



Voi dunque in quanto minoranza che cosa intendete fare?

Noi abbiamo in mente di continuare la nostra battaglia, di tenere aperta una disposizione al dialogo e al confronto con tutti e in primo luogo con il capo del governo. Peraltro attendiamo anche le valutazioni che il presidente del Senato, Pietro Grasso, farà sull’emendabilità o meno dell’articolo 2.

Fino a che punto siete disposti a mediare?

Noi abbiamo detto che trovavamo assolutamente interessante la proposta di mediazione che qualche giorno fa è stata avanzata dal senatore Tonini.

Dopo la riforma in ogni caso il nuovo Senato non voterà più la fiducia. Perché vi importa tanto dell’eleggibilità dei senatori?



In un Paese in cui non si vota più né per i consigli provinciali, né per le città metropolitane, e dove larga parte dei parlamentari alla Camera saranno nominati, consentire che si formi un Senato di nominati ci sembra una diminuzione del grado di democrazia. E’ una sorta di regressione sul piano democratico e un’alterazione dei suoi principi.

Perché le posizioni delle due parti non si sbloccano?

Giachetti, il pasdaran dei renziani, sostiene che i cosiddetti dissidenti utilizzano il tema della riforma costituzionale come leva per boicottare Renzi e fare saltare il governo. E’ una tesi che non regge proprio dal punto di vista fattuale. Se i “dissidenti” avessero voluto perseguire questa strategia, avrebbero potuto avere tranquillamente la possibilità di fare cadere il governo sulla Buona Scuola e sul Jobs Act, leggi molto più impopolari nell’opinione pubblica. Se non lo abbiamo fatto è proprio perché riteniamo che il governo vada sostenuto.

Per Calderoli al Senato il governo Renzi non ha i numeri. E’ davvero così?

Non mi occupo del pallottoliere, ma i senatori di tutti i partiti che hanno sottoscritto emendamenti all’articolo 2 sono 176 su 315. Quelli critici sono dunque più della metà, e forse è per questo che Calderoli dice che Renzi non ha i numeri.

 

Una parte di questi 176 alla fine voterà lo stesso a favore della riforma?

Non posso entrare nella mente dei miei colleghi. Dico però che i senatori del Pd che hanno sottoscritto il documento in cui si fa presente a Renzi che esiste un problema relativo all’articolo 2, ora dovranno essere coerenti con gli emendamenti che hanno firmato.

 

Paolo Romani (FI) ha chiesto di “aprire alle modifiche dell’articolo 2 e che si cambi anche l’Italicum”. Lei è d’accordo con lui?

In linea di principio sì. Non chiediamo però in questo caso di riaprire la votazione sull’Italicum, bensì solo di modificare l’articolo 2. Resta però l’interrogativo sul perché Forza Italia abbia votato l’Italicum così come è stato approvato.

 

Per Nicola Piepoli, il Pd è al 33% e l’M5S sale al 26%. Le divisioni interne al Pd rischiano di far vincere l’M5S?

Non sono un aruspice, ma dico semplicemente che il meccanismo dell’Italicum porta con sé il rischio di una nuova Parma, un nuovo Livorno o risultati simili a quelli degli altri ballottaggi per i sindaci. Quando c’è un ballottaggio tra un candidato del Pd e uno dell’M5S, gli elettori di Forza Italia votano per quello grillino pur di far perdere Renzi.

 

Quindi il Pd corre un rischio serio. Se la riforma del Senato passa così com’è, lei resterà comunque nel Pd?

Questo è un interrogativo che impegna la coscienza personale di ciascuno. Per quanto mi riguarda non ho nessuna intenzione di uscire dal Pd. E’ infatti la mia storia, ma soprattutto non ho mai perso la speranza che il Pd torni a fare il Pd come era mio convincimento quando ho contribuito alla sua fondazione.

 

(Pietro Vernizzi)