“I veri motivi dell’attrito tra Renzi e Bersani, prima ancora che politici o di interesse, sono genetici. Difficile far convivere in un solo partito una gestione brutale come quella renziana e una sinistra che si è dimenticata dei temi sociali e vive una subalternità nei confronti del partito radicale di massa alla Eugenio Scalfari”. E’ l’analisi di Peppino Caldarola, ex direttore dell’Unità ed ex parlamentare dei Ds, in vista della direzione del Pd di oggi che metterà a tema la riforma costituzionale. Roberto Speranza, ex capogruppo del Pd alla Camera, dice: “Assolutamente un’uscita dal partito non esiste e non esiste la scissione”. Il vicesegretario Lorenzo Guerini però ribatte: “Non capisco questa posizione di Bersani. Sembra quasi che anziché trovare un punto di intesa sul merito della questione, voglia irrigidire le posizioni per rompere. Noi andremo avanti con lo spirito di apertura ma non accettando veti che non servono al Pd”.
Quali sono i motivi, scoperti o nascosti, dell’attrito tra Bersani e Renzi?
Il dato di fatto è che nel Pd ci sono ormai due partiti. Uno con un filo rosso legato saldamente alla storia della sinistra. L’altro cerca una strada del tutto nuova, collegandosi alle esperienze della sinistra occidentale, come il New Labour di Tony Blair. Queste due parti potrebbero ancora dialogare, ma hanno scelto di non farlo. Il Pd è il risultato di due partiti federati male, e rischia quindi quotidianamente la rottura. Dietro allo scontro i motivi di interesse sono secondari, e a prevalere sono soprattutto motivi che definirei genetici.
Renzi ha convocato la direzione per oggi. Che cosa spera di ottenere?
Spera di ottenere un via libera dalla maggioranza, in modo tale che la parte che non voterà la sua riforma risulti nei fatti scissionista. Di fatto gli può riuscire di sottrarre alla sinistra qualche altro consenso interno. Ci sarà pure un pezzo di sinistra che non ha in animo la rottura, che la teme, che non vuole apparire come conservatrice rispetto a Renzi. La speranza del segretario è quindi di passare come un tir sopra la minoranza Pd.
Renzi ha detto che intende “fare uscire allo scoperto la minoranza dem”. Quali armi ha per farlo?
L’unica arma che ha a disposizione è ottenere un voto favorevole dalla stragrande maggioranza della direzione, in modo tale che l’atteggiamento parlamentare della sinistra appaia come di rottura rispetto a una disciplina di partito che Bersani e gli altri chiedevano a loro volta quando guidavano lo stesso partito. E’ un gioco del fiammifero acceso e Renzi spera che resti in mano alla minoranza.
Lei come valuta l’atteggiamento di Bersani?
Il rischio che corre la sinistra Pd è che si muova sulla stessa linea di Podemos, ma senza avere una classe dirigente nuova, e sulla stessa linea di Corbyn, ma a differenza di quest’ultimo avendo guidato il partito fino all’altro ieri e uscendone sconfitta. A danneggiare la sinistra Pd è l’idea che sia un pezzo del passato. Che sia vero o no, questa è l’immagine che hanno i suoi esponenti.
Perché fare dell’elettività del Senato il proprio vessillo?
E’ una scelta che non appartiene alla tradizione della sinistra. Sia la cosiddetta “destra comunista” sia la sinistra comunista di Pietro Ingrao erano monocameraliste. La sinistra Pd vive una subalternità rispetto all’idea di un partito radicale di massa, che è poi ciò che ha rovinato la sinistra post-comunista.
Che cos’è questo “partito radicale di massa”?
Nel combattere la sua battaglia in difesa della “Costituzione più bella del mondo”, la sinistra Pd contrae un debito nei confronti della galassia che ruota intorno al mondo del quotidiano “la Repubblica”, il cui sogno è sempre stato quello di dirigere un pezzo della sinistra. La sinistra Pd si trova a muoversi in un’orbita dove la guida fa capo a intellettuali come Gustavo Zagrebelsky per i quali la “stella polare” è il giornale di Ezio Mauro. Niente che abbia a che fare con la sinistra che abbiamo conosciuto in passato. E’ la realizzazione del sogno di Eugenio Scalfari, ma ogni volta che Scalfari ha realizzato i suoi sogni la sinistra ha perso.
La sinistra è rimasta a corto di grandi temi sociali?
La sinistra Pd non ha all’ordine del giorno temi sociali, ma esclusivamente temi istituzionali e morali. E’ quindi una sinistra che cade vittima del mondo “radicale”, intendendo con questo termine non quello di Pannella bensì quello di Scalfari. Se avesse in animo i grandi temi sociali sarebbe una sinistra di tipo laburista.
Perché con crisi e disoccupazione alle stelle la sinistra ha messo da parte i temi sociali?
Perché la sinistra ha perso una visione dell’Italia. La drammaticità delle disuguaglianze è percepita retoricamente, ma non come base per la formazione di un orientamento politico. Manca inoltre un’idea su come governare il Paese, che sia diversa da quella che sta mettendo in campo con una certa brutalità Matteo Renzi.
Sul voto in Senato c’è un “rischio Prodi”, cioè che alla fine i numeri non ci siano come sulla candidatura del Professore al Quirinale?
E’ più facile prevedere che ci sia una diaspora nella sinistra. La gestione di Renzi e del suo staff appare molto brutale, e quindi può accadere che vi sia una ribellione. Io mi aspetto che la ribellione ci sia, anche se non così presto.
(Pietro Vernizzi)