Esiste ancora la possibilità di una sinistra europea socialdemocratica unita nella battaglia politica contro il pensiero neoliberista imperante? A giudicare dagli scontri in atto, dalle dure polemiche che si vedono e si ascoltano, la risposta immediata è un secco “no”.

In questi giorni, Matteo Renzi, leader del partito più grande nell’area socialdemocratica europea, ha attaccato sprezzantemente il nuovo leader del Labour inglese Jeremy Corbyn, indicandolo come uno dei prototipi della sinistra perdente. Poi c’è stato un botta e risposta durissimo tra lo stesso Renzi e l’ex ministro delle Finanze greco Gianis Varoufakis. Non si sono risparmiati insulti di doppiogiochismo, di vocazione scissionistica e via cantando.



L’impressione è che la sinistra, presa nel suo complesso, sia alla riscoperta di una nuova ipocrisia. Una volta si parlava della “funzione insostituibile dell’Urss per il mantenimento della pace nel mondo”. In altri termini, nella sostanza, si credeva al modello sovietico. Quindi si ricorreva ai soliti slogan: “il rinnegato Kautsky” era ad esempio un classico del leninismo. Le prime riunioni del Komintern erano tutte improntate alla condanna dei “populismo” (tornato improvvisamente di moda) e del “socialfascismo”. In Italia fino al 1980 era quasi proibito definirsi “riformisti” all’interno della sinistra. Insomma, Filippo Turati e Anna Kuliscioff rappresentavano una sorta di “disvalore” per la sinistra italiana. Al 42esimo congresso del Psi di Palermo nel 1981, Bettino Craxi si prese le reprimende anche dell’ex azionista Riccardo Lombardi perché aveva ribattezzato la corrente autonomista socialista come “riformista”.

Fatto stupefacente oggi, quando dopo l’implosione del comunismo nel 1992, tutta la sinistra è diventata “riformista”. Sono vere e proprie ironie della storia che in Italia sono sempre di moda, più che altrove. In Italia, ad esempio, il discorso di Turati a Livorno nel 1921, quando ci fu la scissione comunista, fu riabilitato e addirittura condiviso dai comunisti Umberto Terracini e Camilla Ravera nel 1969. Insomma, occorsero ai due filobolscevichi circa 49 anni per capire.

Tutto sommato però quegli scontri novecenteschi appartenevano alla contrapposizione ideologica classica e quindi erano meno ipocriti di quanto avviene oggi nel mondo di quello che resta della sinistra. Oggi c’è un grande problema che divide al suo interno la sinistra, ma lo si aggira, lo si accenna solamente e poi si cerca di rimuoverlo. Questo problema è il ruolo della finanza e il sistema stesso della finanza.

E’ abbastanza strano che tutti, a sinistra in particolare modo, citino le frasi di Papa Francesco tranne un passaggio fondamentale della sua enciclica Laudato si’.

Allora, poiché in Italia si soffre di memoria corta, ricordiamo il quinto capitolo dell’enciclica, paragrafo IV, n. 189: “La politica non deve sottomettersi all’economia e questa non deve sottomettersi ai dettami e al paradigma efficientista della tecnocrazia. Oggi, pensando al bene comune, abbiamo bisogno che la politica e l’economia, in dialogo, si pongano decisamente al servizio della vita, specialmente della vita umana.

 Il salvataggio a ogni costo delle banche, facendo pagare il prezzo alla popolazione, senza la ferma decisione di rivedere e riformare l’intero sistema, riafferma un assoluto dominio della finanza che non ha futuro e che potrà solo generare nuove crisi dopo un lunga, costosa e apparente cura”.

Ma per quale ragione di questo passaggio dell’enciclica del Papa sembrano tutti dimentichi e smemorati, soprattutto a sinistra in Italia e in Europa? Forse, perché nei confronti della grande svolta finanziaria che ha portato alla crisi del 2007, anche la sinistra ha le “manine sporche”. Forse, perché dopo il 1992 si è parlato di liberalizzazioni, di privatizzazioni anche a sproposito e si è finito con l’accettare una liberalizzazione della finanza che l’ha messa in concorrenza quasi con i casinò, non al servizio dell’economia reale.

La finanza e il suo futuro sono il vero “nocciolo della questione”. E i riferimenti storici non mancano. Ci si potrebbe domandare perché Franklin Delano Roosevelt, il grande presidente americano degli anni Trenta, lasciò che fallissero 5mila banche negli Stati Uniti e incaricò il suo ministro più sociale, Harry Hopkins, di intervenire a favore di disoccupati e famiglie. Se facessimo un paragone con la politica dell’Unione Europea, si potrebbe restare esterrefatti di fronte a i quattro trilioni di euro dati alle banche dal 2008 e 2011. Quanti euro sono stati stanziati, contemporaneamente ai plotoni di poveri, disoccupati, famiglie in difficoltà?

E’ su questi problemi che la sinistra schiva un vero confronto e non si sa bene per quanto tempo potrà farlo ancora. Di solito, quando si critica la politica dei governi nei confronti della grande crisi che continua a imperversare, si citano i famosi Krugman, Stiglitz, Piketty. Ma c’è qualcuno, che pure non pare di sinistra, che è andato più a fondo dei problemi creati della finanza. Shoshana Zuboff è una docente della Scuola di amministrazione aziendale dell’Università di Harvard e di fronte alla grande crisi ha parlato di attività criminogena: “La crisi economica ha dimostrato che la banalità del male occultato in un modello di attività economica ampiamente accettato può mettere a rischio il mondo intero e i suoi abitanti. Non dovrebbero quelle aziende essere ritenute responsabili nei confronti di convenuti standard internazionali in tema di diritti, obblighi e condotta? Non dovrebbero gli individui le cui azioni hanno scatenato tali devastanti conseguenze essere ritenuti responsabili al lume dei suddetti standard morali? Io credo che la risposta sia sì. Che l’evidenza montante di frodi, conflitti di interesse, indifferenza per le sofferenze, diniego di responsabilità, e assenza sistemica di giudizio morale individuale abbia prodotto un massacro economico amministrativo di tali proporzioni da costituire un crimine economico contro l’umanità”.

Chissà perché la sinistra italiana parla d’altro, litiga sull’eleggibilità del Senato e altre riforme. Chissà perché la sinistra europea questi problemi li inquadra alla lontana, in modo sfuggente.

Forse dopo 80 anni di comunismo reale o immaginario, le sinistre europee e soprattutto quella italiana si sono sbagliate un’altra volta, pur convertendosi tutti al “riformismo”. Intanto litigano schivando il problema, facendo solamente allusioni.