Fare il sindaco non è più impresa molto attraente – neppure nelle metropoli a cinque stelle – visti i chiari di luna delle finanze locali; vista soprattutto la voglia matta del premier Renzi di tagliare incassi fiscali, budget di spesa, partecipazioni azionarie anzitutto nei Comune. E non è certo tempo per tenere alta la quota della tassazione locale: sicuramente non nel programma di un candidato sindaco, ad esempio per Milano 2016 le sorprese brutte e inaspettate possono cominciare già alle primarie: un gioco che vale sempre meno la candela per i candidati non di partito, i cosiddetti “Papi stranieri”, dunque i più forti di questi tempi e in tutti i sensi.



Il ragionamento, coltivato dal renzismo corrente e significativamente rilanciato dal Corriere della Sera, anima sotto traccia le serate della Festa dell’Unità (nazionale, ma in tono minore rispetto al passato) ai Giardini Indro Montanelli di Milano. Nel centrosinistra lo schema di gioco è abbastanza chiaro: Pierfrancesco Majorino ed Emanuele Fiano sono i due candidati ufficialmente in corsa (altri simili lo sono soltanto un po’) ma quasi certamente nessuno dei due sarà in gara alle elezioni, sebbene stiano svolgendo in modo egregio il ruolo di candidati alle primarie: Majorino, molto attivo e capace nella comunicazione (tema che lo rende simpatico al premier), per il renzismo può essere un buon vice per coprire il lato sinistro della coalizione, ma non (ancora) un sindaco. Fiano, dal canto suo, è considerato troppo istituzionale oltreché un pizzico troppo romanizzato per vincere anche in periferia.



Debora Serracchiani, vicesegretario Pd, lascia intendere che ci potrebbero essere sorprese, come il ripensamento del sindaco Giuliano Pisapia – è dura – o un nome scelto da e con Pisapia. Sembra questa la porta attraverso la quale verrebbe chiamato in scena Beppe Sala, super-manager di un Expo in buon crescendo finale. Il premier stesso, ieri, è sembrato lasciarsi coinvolgere volentieri nel gioco del toto-candidato, proprio sul nome del “bravissimo” commissario Expo. Ma ha chiesto di “lasciarlo lavorare”. Non è quindi certo che possa essere lui il “candidato di Renzi”, se quest’ultimo dovesse approfittare del palco milanese della Festa dell’Unità, domenica prossima, per scoprire le sue carte. Per di più il premier sabato sarà al workshop di Cernobbio, tradizionalmente affollato di Vip meneghini. Certamente un’investitura a Sala – a pochi giorni da quella del prefetto Franco Gabrielli a co-sindaco di Roma – suonerebbe come la conferma di una linea “commissariale” del Pd sulle grandi metropoli: per molti versi una forma d’attenzione effettiva alle preoccupazioni giudiziarie espresse sia dalla Procura di Roma sulle infiltrazioni mafiose nella Capitale, sia di Raffaele Cantone, alto commissario Anticorruzione, da sempre attivo sulla piattaforma di Rho. 



Ancora qualche giorno fa, in ogni caso, i fari erano accesi su altri possibili identikit di “candidati del premier”. Ad esempio su Pietro Modiano, che come presidente della Sea sta alzando il suo profilo (Ryanair a Malpensa, aggancio di Orio al Serio,  hub-Milano nel piano nazionale aeroporti). Più stretto appare invece il varco per Ferruccio De Bortoli, ex direttore di un Corriere che con il ritorno di Paolo Mieli in prima pagina pare davvero avere sterzato.

Un nome comunque varrebbe l’altro in termini di sviluppi procedurali nel centrosinistra. Fiano lo ha detto esplicitamente con riferimento all’ipotesi di un ripensamento di Pisapia: l’iter delle primarie si fermerebbe con la giustificazione che, visto che il cadidato viene da fuori, meglio subito passare ventre a terra a lavorare al progetto di coalizione e di programma, e a costruire l’immagine pubblica del prescelto. Il renzismo lombardo, comunque, per non saper né leggere né scrivere, tiene pronta, per ora un po’ coperta, almeno una carta da usare in caso di primarie, ma anche lì bisogna convincere qualcuno e non un qualcuno qualunque, bensì l’archistar del Bosco verticale, Stefano Boeri, renziano della prima ora, sconfitto alle primarie scorse da Pisapia. Le quotazioni di Umberto Ambrosoli, per dovere di cronaca, sono stabili ma non alte. Francamente poco probabile che il jolly per rivincere a Milano possa essere Francesca Balzani, neo-vicesindaco dell’uscente Pisapia.

“Ben altri” sono i problemi del centrodestra: tutti legati alla trattativa in corso tra Silvio Berlusconi e i vertici della Lega Nord, cioè Roberto Maroni e Matteo Salvini. Dipendesse soltanto da Berlusconi, si andrebbe dritti alla scelta di un candidato della società civil-imprenditoriale: Claudio De Albertis, ma anche qualcuno di meno conosciuto, un candidato alla Luigi Brugnaro andrebbe bene, visto che Carlo Sangalli, granitico leader della Confcommercio, sembra proprio non volerci nemmeno pensare. A partire da Milano, in ogni caso, Berlusconi e la Lega mirano a (ri)costruire un’alleanza nazionale, quindi il nome dev’essere “più politico” in quanto frutto di un accordo politico.

Paolo Del Debbio era (è…) l’uomo giusto, ma sembra sia ormai impossibile convincerlo. Quindi Daniela Santanché, che piace ai leghisti per come affronta il tema dell’immigrazione ed era presente al pranzo diventato noto come il patto del Twiga, potrebbe avere chances, ma l’ipotesi non convince del tutto un parte del berlusconismo che considera Milano una città più moderata che di centrodestra. Certo se ne potrebbe riparlare se fosse Santanché l’artefice del patto con la Lega: anche solo per riconoscenza. Paolo Romani, intanto, si è visto alla Festa dell’Unità, potrebbe mettere d’accordi molti (tranne ciò che resta della stagione formigoniana e un po’ di Lega) e con il ruolo svolto in Senato, tra riforme istituzionali e affini, può aver diritto a una battaglia anche personale. Maurizio Lupi ufficialmente non vuole, ma è l’unico centrista che potrebbe piacere sia alla Lega sia a Forza Italia.

E se l’accordo con la Lega salta? Very different story. Ma ha già pensato ad abbozzarla l’ex sindaco Gabriele Albertini: ci sarebbe Corrado Passera, che per di più rischia in proprio (da tutti i punti di vista). E poi Milano è (stata?) la città della finanza: un duello Passera-Modiano farebbe subito felice il grillismo più superficiale. Ma nel 2016 a essere – già – invecchiato potrebbe rivelarsi il Cinque Stelle: non due banchieri che a Milano continuano a conoscere a menadito tutto e tutti.