“Se le due posizioni si irrigidiscono si rischia il crack totale. E’ difficile ipotizzare un Pd che resta unito se al Senato si ritrova in piedi solo grazie all’appoggio di forze raccogliticce e di due partiti di centrodestra come Fi e Ncd”. Lo evidenzia Peppino Caldarola, ex direttore dell’Unità ed ex parlamentare dei Ds, a proposito del voto sulla riforma del Senato previsto per lunedì a Palazzo Madama. Alla Festa dell’Unità a Milano le distanze all’interno del partito sono emerse in modo lampante soprattutto dagli interventi di Pier Luigi Bersani e del ministro delle Riforme, Maria Elena Boschi. Per Caldarola però, “se fossero ancora vivi Togliatti e Berlinguer non capirebbero questa enfasi della sinistra Pd in difesa del bicameralismo. E soprattutto la loro priorità sarebbe l’unità del partito”.
Come sono gli umori nel Pd alla vigilia del voto sul Senato?
Sono esattamente come li abbiamo lasciati prima dell’estate, con una difficoltà in più per entrambi gli schieramenti. Se le due posizioni si irrigidiscono la conseguenza sarà una probabile sconfitta di Renzi in Parlamento, a meno che abbia il soccorso di Berlusconi, e al tempo stesso una rottura che diventerebbe insanabile con la sinistra. L’altro possibile scenario è che la sinistra rinunci a mettere in crisi il governo e dia un voto tecnico un istante prima che i cannoni incomincino a sparare.
Secondo lei come andrà a finire?
Un voto contrario della sinistra Pd sulla riforma del Senato condurrà inevitabilmente alla rottura. E’ difficile ipotizzare un Pd che resta unito dopo uno scenario simile. Mi immagino quindi che le due parti del Pd cercheranno un compromesso, magari dell’ultimo minuto, sul listino per il Senato. Tutto congiura perché si trovi un accordo, ma questo richiede una saggezza che finora nessuna delle due parti ha dimostrato.
Come giudica le voci di un Renzi deciso a inasprire la sua linea contro i riottosi del Pd?
Ho spesso criticato Renzi, ma trovo che l’atteggiamento della minoranza sia altrettanto irragionevole. Mettere a rischio la vita del governo per ottenere una modifica del meccanismo di elezione del Senato francamente non mi pare un colpo di genio. La tradizione della sinistra è sempre stata più ispirata al monocameralismo, o alla prevalenza di una Camera sull’altra, che non a una cultura “paritaria”. Stanno facendo una battaglia che non ha alcun senso, e rispetto alla quale il Paese si sente del tutto tagliato fuori.
Se ci fossero Togliatti o Berlinguer, che cosa direbbero oggi?
E’ facile immaginare che sarebbero molto critici nei confronti di Renzi per le modalità di guida del partito, oltre che per questo approccio un po’ superficiale. Ma tanto Togliatti quanto Berlinguer sarebbero più assillati dal tema dell’unità di una forza di centrosinistra piuttosto che dall’idea del vessillo da difendere contro l’usurpatore. Io comunque distinguerei le posizioni di D’Alema e Bersani da quelle del resto della sinistra Pd.
In che senso?
D’Alema muove a Renzi una critica politico-culturale, Bersani più volte ha lanciato proposte concilianti che Renzi non ha raccolto. Poi dentro allo schieramento che fa riferimento a Bersani e D’Alema ci sono pasdaran altrettanto irriducibili quanto Lotti. Sono entrambe posizioni fondamentaliste, che portano a quella che i classici del marxismo avrebbero definito “la rovina comune”.
Oggi Renzi parla alla Festa dell’Unità a Milano. Secondo lei che cosa dirà?
Renzi ha già detto molto. Ha spiegato infatti di sperare che l’uomo dell’Expo, Beppe Sala, possa essere il candidato del centrosinistra alle Comunali del 2016. Milano è una città che ha bisogno di figure molto solide e rappresentative. Come dimostra il caso di Marino a Roma, non ci si può affidare a leadership un po’ inventate. Servono personalità forti e carismatiche, gente in grado di prendere in mano la città un minuto dopo il voto. Nella gestione di Expo, Sala ha dimostrato tutte queste capacità. Renzi spenderà qualche altra parola per Sala, ben sapendo che ciò potrà indispettire due personaggi milanesi come Majorino e Fiano.
Riferendosi all’ex Ad di Luxottica, Andrea Guerra, Renzi alla Leopolda ha detto: “Cosa succede? Chiedetelo a lui”. E se fosse Guerra il candidato?
Potrebbe essere. Guerra è un personaggio di grande spessore internazionale, e Milano è una città troppo importante perché Renzi la lasci gestire alle dinamiche interne del Pd milanese. Lo scotto pagato in Campania, la sconfitta in Liguria, il dramma di Roma lo spingeranno a cercare un grande risultato a Milano, e perché ciò avvenga dovrà puntare su un nome importante. La personalità che serve per Milano deve avere indubbie capacità manageriali, grande visione e grande esposizione internazionale. Milano ha bisogno di un sindaco che sappia parlare con il mondo, e Guerra ha tutte queste caratteristiche.
(Pietro Vernizzi)