“Un no alla revisione del Senato, dopo quello alla delega lavoro, all’Italicum e alla scuola, determinerebbe una frattura davvero profonda”. Lo rimarca Stefano Fassina, deputato eletto nel Pd che ha poi abbandonato il 24 giugno scorso per il gruppo misto. Come aggiunge l’ex sottosegretario, “io ho ritenuto insostenibile lo scarto tra il mandato elettorale del Pd e le politiche del governo. Gli altri colleghi faranno le valutazioni che credono. E’ evidente però che c’è una lacerazione profonda”. Ieri Pier Luigi Bersani ha smentito Repubblica, che aveva parlato di una sua apertura sul lodo Boschi-Finocchiaro. La battaglia nel partito è ancora aperta e oggi si trasferirà nell’aula di Palazzo Madama.



Onorevole Fassina, come vede la sfida sul Senato in vista di martedì?

La minoranza del Pd e una parte delle opposizioni continuano a sottolineare un problema sistemico, quello del cambiamento della forma di governo attraverso la revisione del Senato e l’Italicum. Un cambiamento della forma di governo che rappresenta un arretramento della democrazia, perché il sistema italiano diventa un presidenzialismo di fatto nel quale sono molto indeboliti i poteri di garanzia.



Abolire il bicameralismo perfetto porta di per sé al presidenzialismo?

Il superamento del bicameralismo paritario è un fatto condiviso. Siamo d’accordo sulla necessità che vi sia una sola camera a dare la fiducia al governo. Il problema è un altro. Attraverso il premio di maggioranza, l’Italicum conferisce a un partito anche di significativa minoranza il 55 per cento dei deputati, tre quarti dei quali sono nominati dalla segreteria. E lo stesso Senato viene a essere composto da membri nominati.

Il ministro Boschi ha detto che c’è un accordo sul 90 epr cento della riforma costituzionale. E’ davvero così?



Non so se l’accordo si possa tradurre in termini quantitativi. Il punto fondamentale che viene posto è il potenziamento di funzioni di garanzia che oggi con la revisione di Senato e Italicum sono radicalmente indebolite. Non so se il ministro Boschi calcoli quel 90 per cento in termini di righe del disegno di legge, ma in termini politici il punto di disaccordo è estremamente rilevante.

Bersani ha smentito Repubblica, che aveva parlato di un suo sostegno al lodo Boschi-Finocchiaro. Lei come legge questa vicenda?

La leggo come un tentativo da parte di tanti organi di informazione di portare acqua al mulino del governo. Bersani ha chiarito il suo orientamento. Le veline di Palazzo Chigi continuano a raccontare un accordo fatto che nella realtà non c’è.

La minoranza del Pd al Senato seguirà Bersani o voterà il lodo Boschi-Finocchiaro?

Dall’intervista di Gotor alle parole di altri senatori, la minoranza Pd continua a porre la questione generale che le dicevo prima, e nello stesso tempo a considerare inadeguata la proposta del listino.

 

Alfredo D’Attorre (sinistra Pd) ha dichiarato: “Sono disposto ad accettare un’indicazione vincolante che venga da un pronunciamento democratico della nostra base anche su temi come la riforma costituzionale”. E’ un’apertura che condivide?

Più che un’apertura mi sembra la richiesta di una verifica che io stesso ho sottoscritto, finché sono rimasto dentro al Pd. Siamo di fronte a un governo che si tiene in piedi grazie ai voti del Pd. Il programma di Renzi, su punti decisivi come lavoro, scuola, riforme elettorale e costituzionale, ha posizioni opposte rispetto al programma sul quale furono eletti i parlamentari del Pd nel 2013. Una verifica democratica è dunque necessaria.

 

Renzi ha i numeri al Senato?

Una revisione costituzionale non può essere appesa ai voti di una decina di transfughi da Forza Italia. Stiamo parlando delle regole del gioco, è stato compiuto un errore politico e istituzionale molto grave per il fatto di chiedere la fiducia sull’Italicum. Ora va evitato di ripetere lo stesso errore sulla revisione costituzionale. Anche se avesse una maggioranza striminzita, il governo dovrebbe riconoscere la competenza primaria del parlamento sulle materie costituzionali.

 

Un no alla riforma aprirebbe una frattura nel Pd?

Un no alla revisione del Senato, dopo quello alla delega lavoro, all’Italicum e alla scuola determinerebbe una frattura davvero profonda.

 

Quindi ci sarebbe una scissione?

Io ho ritenuto insostenibile lo scarto tra il mandato elettorale del Pd e le politiche del governo. Gli altri colleghi faranno le valutazioni che credono. E’ evidente però che c’è una lacerazione profonda…

 

(Pietro Vernizzi)