L’Italia del sì contro quella del no. E’ di una disarmante semplicità lo schema che Matteo Renzi ha utilizzato dal palco della festa dell’Unità in salsa milanese davanti a pochi intimi, qualche centinaio di persone, pallido ricordo delle adunate oceaniche proprie della chiusura della feste in salsa emiliana.
Fu Carl Schmitt a codificare il dualismo amico/nemico, indispensabile a definire le categorie del politico. Il premier segretario semplifica al massimo quella distinzione per definire alleati e avversari. Forse il modo è un po’ troppo sbrigativo, ma almeno ha il pregio di essere chiaro. Amico è chi sta con lui, nemico chiunque si metta di traverso, sia esso dentro oppure fuori il Pd.
Le sue parole suonano come una sfida baldanzosa. Alle opposizioni, come pure alla minoranza interna. E alla vigilia di una settimana decisiva per il percorso delle riforme costituzionali in Senato possono volere dire solo due cose: o che il presidente del Consiglio non ha i numeri e sfida chicchessia a sbarrare il passo alle sue idee di modernizzazione del paese, oppure ha già in mano un accordo, e vuole apparire spavaldo e padrone del campo ai suoi, così da fare digerire una serie di concessioni per non finire vittima della palude.
A prima vista un accordo sulle riforme appare lontano. La minoranza dem boccia l’idea che basti un’operazione di maquillage sul testo Boschi concedendo che i futuri senatori siano scelti grazie a un listino sottoposto agli elettori in concomitanza con le elezioni regionali. Serve un’iniziativa di “sostanza”, fanno sapere al segretario che è anche premier.
A loro da Renzi sono però arrivate solo bordate durissime, che indicano distanze ancora considerevoli. “Se qualcuno pensa di utilizzare la questione della riforma costituzionale per bloccare tutto e ripartire da capo, sappia che la forza di chi dice sì è molto più grande”, ha avvertito il premier dal palco milanese. Nessun veto verrà quindi subìto, o accettato, la minoranza interna è avvertita. E se dovesse creare con il suo comportamento le condizioni per l’incidente tale da far cadere il governo e trascinare il paese al voto, il gruppo di Bersani dovrà spiegare non una scissione, ma la ragione per la quale chiede una ricandidatura nello stesso partito di Renzi e della Boschi, lontano ormai anni luce da loro.
Dai toni ultimativi di Berlusconi, però, non sembra neppure che Renzi possa contare sul “soccorso azzurro”, posto che la decina di voti che Verdini è oggi in grado di convogliare su Palazzo Chigi non basta a compensare i mal di pancia di marca democratica. Il leader di Forza Italia boccia su tutta la linea la riforma del Senato. Parla di democrazia a rischio, nel caso non vi sia l’elezione diretta dei componenti dell’assemblea di Palazzo Madama. Insomma, non sembra affatto che si sia alla vigilia di una riedizione del patto del Nazareno.
Per parte sua, Renzi attacca alzo zero Salvini sull’immigrazione, ben consapevole della reazione che provocherà, anzi felice di ostacolare il dialogo fra Lega e Forza Italia. Quel dire “non c’è il Pd contro le destre, ma umani contro bestie” è durissimo, e provoca reazioni veementi in casa Lega. Del resto Renzi va dicendo chiaramente che Salvini sarebbe per lui l’avversario più facile da battere, e va in questa direzione il suo sforzo contemporaneo di legittimazione e demonizzazione.
Anche con Ncd Renzi usa il bastone dei proclami sui diritti civili e le unioni gay “che presto saranno legge”. Difficile — secondo il giudizio di Palazzo Chigi — che Alfano trovi il coraggio di far cadere il governo su una materia tanto controversa. Del resto, l’ipotesi di imbarcare l’Ncd dentro un listone a guida Pd è in caduta libera, dopo i sondaggi che descrivono elettori in fuga all’ipotesi di vedere Quagliariello nella stessa lista di Speranza e Cuperlo.
Dati questi elementi, l’ipotesi più probabile da fare è che Renzi abbia deciso di sfidare tutti i suoi oppositori a dimostrare che sono in grado di staccargli la spina. Il premier, insomma, vuole trasformare la propria debolezza parlamentare (numeri ballerini, soprattutto in Senato) in punto di forza. Lo incoraggia anche il fortissimo endorsement di Sergio Marchionne nei suoi confronti: “Con Renzi progressi fenomenali per un paese che non vuol cambiare, diamogli più tempo e più sostegno”, ha detto l’amministratore delegato di Fiat-Chrysler.
I renziani, di conseguenza, si dicono pronti allo scontro finale con quelle che giudicano essere le forze della conservazione. Forte la convinzione che sarebbe alto il prezzo elettorale che pagherebbero tutte le formazioni politiche giudicate responsabili di aver fatto fallire questo tentativo di rivoltare come un calzino questo paese per modernizzarlo.
Non è detto, però, che i conti fatti da Renzi siano giusti. Nel poker, a giocare continuamente al rilancio si rischia di perdere contro qualcuno che decide di vedere se bluffi o meno. Questo momento potrebbe non essere poi così lontano.