La sua presenza sulla scena politica italiana è talmente incombente da indurre Matteo Renzi e Angelino Alfano a una brusca retromarcia sull’abolizione del reato di immigrazione clandestina per non offrirgli un facile terreno di propaganda. Eppure Matteo Salvini stenta a fare il salto di qualità che lo dovrebbe portare al centro della politica nazionale.
Nei sondaggi la sua Lega veleggia, a seconda degli istituti, fra il 14 e il 15,5%. Si tratta di una percentuale stratosferica, se si pensa che quando nel dicembre 2013 prese le redini del Carroccio, il partito si trovava in coma profondo, probabilmente sotto al 3%. Eppure con quella percentuale l'”altro Matteo”, anzi “il Matteo giusto”, come lo chiamano i fedelissimi, rischia l’irrilevanza, per via del micidiale meccanismo chiamato Italicum.
Matteo Renzi e i grillini possono contare su formazioni politiche abbastanza coese e quotate intorno al 30%. Salvini vale grosso modo la metà, e per tentare di arrivare al ballottaggio (quindi almeno secondo) deve a tutti i costi federare il centrodestra, per arrivare a quel 30% che per il momento è solo sulla carta. Lui ne è consapevole e lo ripete in ogni intervista: “solo uniti si vince”. Eppure non è facile avere a che fare con un’area politica che oggi appare come un campo bombardato.
Il cratere principale è costituito dalla crisi di Forza Italia, un autentico buco nero dall’evoluzione imprevedibile. Il suo interlocutore è un leader sulla soglia degli ottant’anni, che vale ancora non meno del 10%, ma che sta smantellando la propria struttura sul territorio. Un partito evanescente, un fantasma che si aggira per l’Italia politica. Berlusconi però di farsi da parte non ne vuol sapere, tantomeno di incoronare un successore. La politica non lo appassiona più come una volta, e così ristagna anche il confronto per individuare i candidati comuni del centrodestra per le amministrative di giugno. E se in quell’occasione il centro destra farà flop, le conseguenze saranno inevitabili. Una specie di “si salvi chi può”.
Per Salvini non sarà affatto facile. C’è Berlusconi, c’è l’arcipelago di Forza Italia, inquieto, rissoso, e ricco più di colonnelli che di truppe. C’è poi un mondo di ex berlusconiani, polverizzato e rissoso. Con gli alfaniani poco a che spartire, così come con quelli di Verdini, che garantiscono a Renzi un servizievole “soccorso azzurro” in Senato. Ci sono però anche gli uomini di Fitto, e quelli che da Ncd hanno preso e stanno prendendo le distanze, senza dimenticare Storace e qualche altro manipolo di ex An. Un puzzle complicato.
Posto che con Giorgia Meloni e con i Fratelli d’Italia non ci sono problemi particolari, i maggiori grattacapi per Salvini potrebbero venire proprio dalla Lega. Il “capitano” (altro soprannome, per differenziarlo dal “capo”, Bossi) appare troppo come “un uomo solo al comando”. Macina chilometri da nord a sud, presidia ogni angolo dei talk show e dei social media.
Dietro di lui, però, manca una squadra, anzi s’intravedono ombre pronte a metterlo in discussione se qualcosa (alle amministrative, ad esempio) dovrebbe andare storto. Sono le ombre della vecchia guardia degli ultimi bossiani, e quelle di ciò che resta dei “barbari sognanti” di maroniana memoria.
Intorno al leader del Carroccio troppo poche personalità da spendere. C’è l’eminenza grigia, Giancarlo Giorgetti. Ci sono i nuovi acquisti in campo economico, Claudio Borghi e Alberto Bagnai, poi poco altro. Tra il serio e il faceto, intervistato da La Zanzara, Salvini ha ipotizzato un governo con loro, con Berlusconi agli Esteri, con Checco Zalone alla Cultura e Mauro Corona all’Agricoltura e alla montagna. Un po’ a sorpresa lo scrittore friulano ha risposto di essere disponibile: di endorsement del genere il “capitano” avrebbe un gran bisogno.
Subito dopo aver preso la guida del Carroccio Salvini aveva mostrato capacità di elaborazione politica, invitando in Italia il profeta della flat tax, l’economista americano Alvin Rabushka. Poi in termini di elaborazione politica è mancato qualcosa, anche su immigrazione e difesa della famiglia, temi su cui si sarebbero potuti intessere relazioni trasversali, anche con qualche ambiente cattolico. Il legame a doppio fino con Marine Le Pen non basta. La leader del Front National sarà a Milano il 28 gennaio per rilanciare l’asse euroscettico. Ma proprio la sconfitta del FN ai ballottaggi delle regionali ha acceso un campanello d’allarme. Se non si sfonda al centro, una messe di voti — anche cospicua — può risultare inutile al fine della vittoria.