Mai come oggi la frammentazione sociale e il disordine collettivo sono il riflesso della situazione internazionale. Non ne è la causa e neppure l’effetto immediato e diretto, ma certo l’entropia sta crescendo nelle società occidentali. La questione che rende l’entropia immediatamente visibile ai più è l’incapacità delle società occidentali di far fronte in forma ordinata e quindi non entropica alle migrazioni di massa. L’aver abbandonato concetti come inculturazione e assimilazione per sostituirli con integrazione e melting pot ha avuto delle conseguenze devastanti, in termini parsoniani, sui sistemi latenti attivi nei costrutti sociali simbolici delle masse.
Il problema delle società di massa non è infatti il conflitto, come molti continuano ancora a credere perché difendono il sistema della proprietà privata come unica forma di allocazione dei diritti di proprietà. Il problema essenziale è invece l’ordine, senza il quale le società non si riproducono e non riescono a generare processi di inclusione. La conseguenza è l’entropizzazione, che si trasforma in sistemi autoreferenziali autopoietici che a differenza di quanto pensava Luhmann non sono fenomeni di autoregolazione, ma di distruzione della coesione e della comunicazione sociale, così come accade nelle cellule cancerogene. Le conseguenze di tale deriva sono oggi sotto gli occhi di tutti con i fatti di Colonia e le migliaia di altri episodi consimili che le forze preposte al mantenimento dell’ordine hanno persistentemente negato, perché ammettere la realtà distruttiva dell’entropia per incomunicabilità simbolica e sociale avrebbe significato il loro fallimento, che ora è invece dinanzi a tutti noi.
Lo stesso problema è ora del sistema internazionale. Vi è qualcosa di ben più temibile della caduta dell’egemonia degli Usa. Certo essa esiste ed è l’elemento rivelatore della crisi, ma è solo l’epifenomeno di un vuoto gigantesco lasciato nel sistema di potenza mondiale dal crollo dell’Europa come appunto potenza internazionale. Non è un caso che il crollo internazionale dell’Europa è iniziato ed è via via aumentato allorché essa ha intrapreso processi di unificazione tecnocratica. Visto il pluralismo culturale insopprimibile dell’Europa — reso manifesto dalle sue molteplici lingue parlate e scritte — e dal suo inestimabile e unico patrimonio culturale (l’Europa è la sola fonte mondiale di civilizzazione che sia mai esistita, tutto il resto si tratta di culture antropologicamente intese) le uniche forze unificabili sono state quelle economiche sub specie teorie marginaliste anti-umanistiche che hanno via via distrutto il sistema di potenza europea.
Perché? Ma perché hanno sostituito un sistema di potenza fondato sul concerto europeo delle grandi potenze — che consentiva ai singoli stati di sviluppare la loro potenza militare ed economica e quindi politico-diplomatica —, con un sistema non di potenza, ma di equilibro senza potenza che ha emasculato completamente il peso internazionale di un continente.
Infatti non solo l’esercito europeo non si è mai formato, ma la stessa Nato si è indebolita non tanto e non solo per la ritirata relativa degli Usa dall’agone della lotta per la potenza mondiale, ma per le politiche di taglio della spesa e di rifiuto dei valori militari da tutti i sistemi culturali europei, come dimostra l’abolizione della leva e il ricorso a eserciti professionali che non saranno assolutamente in grado di rispondere alle sfide che promanano dal Mediterraneo e soprattutto dall’heartland nonché dalla Cina.
Il collasso di quest’ultima (e pensare che da oggi iniziano i negoziati tra Commissione Ue e stati membri sulla possibilità di riconoscerla come “economia di mercato”) infatti non ridà forza al sistema continentale ma l’indebolisce, unificando per esempio aggressività cinese e remissività militare del Regno Unito, oppure divisione nella Nato tra sostenitori dell’aumento del potenziale di contrasto nell’Artico o sul fianco sud per via della crisi in Ucraina.
Quest’ultima del resto non è che il riflesso del ruolo che oggi la Russia sta sempre più con evidenza svolgendo non solo in Medio Oriente rispetto alla Turchia e alla Siria ma su tutto l’arco dell’heartland, considerando i rapporti obbligati che la Russia deve avere con la Cina e considerando il suo attivismo in Oriente, mentre in Europa diviene elemento di contrasto tra le potenze europee in declino in evidente alterità con quanto accadeva durante la guerra fredda.
Non si è mai capito che la visione di De Gaulle dell’Europa della Atlantico agli Urali non era un rigurgito nazionalistico, ma una visione geopolitica di prima grandezza che per realizzarsi non poteva naturalmente sopportare un’Unione Europea come quella che oggi sta decadendo dinanzi ai nostri occhi.