E all’improvviso Matteo Renzi ebbe paura di andare a sbattere. La questione delle unioni civili l’aveva sottovalutata. Era certo di riuscire a dominare il circo Pd, ma all’improvviso i conti non tornano più. Così è stata decisa la frenata, il testo Cirinnà arriva nell’aula del Senato, ma i primi voti (compreso quello sulle pregiudiziali di costituzionalità) ci saranno da martedì. Cinque giorni in più per trattare, per trovare una quadratura del cerchio che al momento non è alle viste.  



L’epicentro del terremoto è dentro il Pd. I cattodem non demordono, quindi meglio guadagnare tempo e scavallare il Family day di sabato. La sponda, inattesa, la offre la Lega, che chiede un rinvio del voto per consentire la partecipazione dei parlamentari a una convention con Marine Le Pen a Milano. Si tratta di più di un pretesto, dal momento che con il Carroccio è scattato quello che il capogruppo salviniano Centinaio definisce un “patto tra gentiluomini”: niente ostruzionismo (con il ritiro del 90% dei 5mila emendamenti leghisti), in cambio di niente ghigliottina sui tempi del dibattito, compreso il ritiro dell’emendamento-canguro preparato dal senatore renziano Marcucci. Neppure il voto finale ha più una data precisa dopo la conferenza dei capigruppo di mercoledì.



Il fatto è che da alcuni giorni si è accesa la spia dell’allarme rosso nella war room di Palazzo Chigi. I numeri ballano, anzi non ci sono proprio. Ancor di più, sono appesi ai capricci e alle giravolte dei senatori a 5 Stelle. Senza di loro i punti più controversi della legge rischiano di non passare, ma fidando su di loro si rischia di incappare in una clamorosa imboscata al riparo dei voti segreti che su una materia tanto delicata saranno numerosi. Il sospetto dei renziani è che i grillini non aspettino altro che un pretesto (una modifica marginale) per sfilarsi, così da far ricadere interamente sui democratici un eventuale fallimento in materia di diritti civili.



Le contromisure prese dal premier segretario hanno cominciato a dispiegarsi con l’assemblea dei senatori del Pd in cui si è stabilito che, qualunque cosa accada, non mancherà il sì sul voto finale alla legge. Un passo per legare alla disciplina di partito tanto i falchi pro Cirinnà quanto le colombe contrarie alla stepchild adoption. Una legge ci sarà, pare assicurare Renzi. Una legge quale che sia. 

In mezzo ci sono, appunto, tanti voti segreti su cui può accadere davvero di tutto. Molto dipenderà dall’adunata del Circo Massimo di sabato prossimo: se la riuscita sarà piena, Renzi non potrà non tenerne conto. E dovrà concedere nei fatti quello che ancora nega a parole, cioè consistenti ritocchi al testo Cirinnà non solo sulle adozioni del figlio del partner, ma anche sulla definizione stessa di unione civile, per non schiacciarla troppo sull’istituto del matrimonio.  

Pesa in questo la moral suasion del Quirinale, che ha provveduto a ricordare come una recente sentenza della Corte costituzionale, la 138 del 2010, afferma con nettezza che la famiglia prevista dai costituenti nel 1948 è esclusivamente quella composta da un uomo è da una donna. Senza correttivi il rischio di problemi di costituzionalità è concreto e reale.

Certo, se il Circo Massimo si rivelasse un flop, Renzi avrebbe un margine di manovra maggiore. Le mosse del premier, però, fanno capire che ha fiutato un’aria anti-Cirinnà e si prepara al peggio, sfruttando i cinque giorni guadagnati per procedere al più volte annunciato rimpasto di governo. Un’operazione di cui il maggior beneficiario sarà il Nuovo Centro Destra di Alfano, che incasserà il nuovo ministro per gli Affari regionali (Costa, ma anche Chiavaroli) e alcuni sottosegretariati di peso, fra i 7 o 8 che verrano nominati. Anche Scelta Civica, assai critica sulle adozioni, dovrebbe raggranellare qualche seggiolina in più. Difficile non pensare che si tratti di una manovra di ammorbidimento nel più puro stile della prima repubblica.

A masticare amaro è il fronte dei favorevoli al testo Cirinnà, che si sono messi a strepitare non appena il “patto fra gentiluomini” stipulato in Senato è diventato di dominio pubblico. Per Arcigay e compagni il timore sempre più concreto è che si vada verso un’intesa al ribasso. E poco consola la discesa in campo della presidente della Camera Laura Boldrini, che — messo da parte per un momento il ruolo terzo che dovrebbe svolgere — si è schierata apertamente a favore della stepchild adoption. Per questo fronte il testo in discussione è già una mediazione, e altre correzioni sarebbero indigeste.

Il finale di partita della vicenda unioni civili non è però scritto. Il Pd riterrebbe un successo arrivare al voto finale l’11 febbraio. In due settimane possono accadere tante cose, è una legge può essere anche radicalmente riscritta. Si può star certi che prima di andare incontro a una cocente sconfitta il premier segretario le proverà tutte.

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