“Quanti nel Pd si sono espressi per il No al referendum non cambieranno idea. Dipende però da Matteo Renzi evitare che questo No si trasformi in scissione”. E’ l’analisi di Peppino Caldarola, ex direttore dell’Unità ed ex parlamentare dei Ds, all’indomani della direzione del partito in cui il segretario e la minoranza Pd si sono confrontati in vista del referendum. Da un lato Renzi si è mostrato disponibile a un’apertura: “Provo a offrire una soluzione, nel rispetto di tutti. Ma se c’è chi immagina di usare la legge elettorale come alibi, lo smontiamo”. Dall’altro l’ex capogruppo, Roberto Speranza, ha osservato rivolto al segretario: “Serve un’iniziativa Pd e una spinta del governo. La proposta che hai fatto oggi non è sufficiente perché sconta ancora questa debolezza”.
Caldarola, a che punto siamo dopo la discussione nella direzione Pd di ieri?
Quella di ieri è stata una discussione meno drammatica di quanto era stata preannunciata, nel senso che non è stata la direzione in cui si è messa a tema la separazione. E’ stata però ugualmente una discussione drammatica. Era drammatico il tono di Renzi, che per la prima volta non si è concesso una battuta. Era drammatico l’intervento di Cuperlo, che ha persino detto che se sarà costretto a votare No si dimetterà dal parlamento. E’ stato drammatico anche Speranza, leader con Bersani di un’area significativa.
Perché questi toni?
Perché tutti si sono resi conto di avere superato il livello di guardia e stanno cercando in qualche modo di ricucire gli argini del fiume che ha già tracimato.
Lei come valuta le aperture di Renzi?
Renzi ieri ha fatto per la prima volta un tentativo di apertura vero. Non mi riferisco tanto alla commissione che ha proposto, che comunque è un dato concreto. Anche se forse si può discutere se la commissione abbia dentro di sé una rappresentanza significativa della minoranza: io penserei a una commissione un po’ più larga, ma che rappresenti tutte le minoranze.
Allora qual è la vera novità di ieri?
Il dato di novità è che Renzi vuole dare incarico a questa commissione di aprire una discussione all’interno del Pd, e poi con gli altri partiti, e nello stesso tempo non pone paletti. Il segretario ha detto esplicitamente di essere affezionato a tutto l’Italicum, e in questo senso la sua contrapposizione alla sinistra resta globale. Però ha anche aggiunto che, pur di vedere approvata la riforma istituzionale, è disposto a mettere in discussione tutti gli aspetti dell’Italicum. La vera apertura è il fatto che il presidente del Consiglio non pone paletti né sul ballottaggio né sul premio alla lista né sulla modalità di elezione dei deputati.
La spaccatura del Pd può essere ancora evitata?
C’è una spaccatura che non è evitabile, e lo ha detto con grande onestà Roberto Speranza. E’ difficile che il mondo del No maturato all’interno del Pd cambi idea, perché è costituito da persone che si sono organizzate, che fanno capo all’Anpi, all’Arci e alla Cgil. Se questo spiraglio di dialogo resta aperto, è possibile che al voto si arrivi a una spaccatura tra Sì e No ma in un clima che non è da “giudizio di Dio”: sarebbe una differenza importante. Una parte della sinistra Pd può restare sulla posizione del No ma senza gli argomenti di Gustavo Zagrebelsky e di Marco Travaglio. Ciò potrebbe rendere lo scontro meno drammatico.
Lo ritiene possibile?
Per arrivare a una svolta di tipo unitario questi 50 giorni che ci separano dal 4 dicembre vanno utilizzati bene. Renzi si deve un po’ “cucire la bocca” ogni volta che gli viene in mente una battutaccia, e la sinistra Pd deve pronunciare un po’ meno di frequente la parola “scissione”.
Quale peso avrà sulla campagna di Renzi il No delle minoranze Pd?
Questa è una campagna elettorale strana. Se noi stiamo alla disposizione delle forze in campo, vediamo Renzi contro tutti: la quantità di sigle a favore del No è impressionante. C’è tutta la destra, c’è tutta la galassia “extraparlamentare”, c’è gran parte del mondo della cultura e del cinema, ci sono le associazioni di massa di sinistra dalla Cgil all’Anpi, e c’è una fetta importante di classe dirigente del Pd. Con Renzi non c’è praticamente nessuno.
Quindi Renzi ha già perso in partenza?
Giudicando dalla disposizione delle forze in campo dovremmo dire che Renzi ha già perso. In realtà la partita del referendum costituzionale è molto trasversale. La politica ci insegna che quando si mettono insieme elementi così contrapposti, alla fine qualcuno si sottrae alla battaglia. In secondo luogo la posizione di Renzi resta un argomento di grande facilità propagandistica, in quanto afferma di semplificare e di ridurre i costi della politica.
La posizione del No ha meno presa?
L’argomento più semplice dei sostenitori del No è cacciare Renzi. Quando invece si entra nel merito ci si disperde in diecimila meandri. Ogni volta quindi che il No ritiene di avere vinto, fa un calcolo senza tenere conto che un pezzo di Paese non sente che il suo problema fondamentale oggi è la minaccia alla democrazia, quanto piuttosto l’abbassamento del tenore di vita. Renzi quindi ha molte più carte di quante i sondaggisti dichiarano.
(Pietro Vernizzi)