“La spaccatura è insanabile al punto che il Pd ha già smesso di esistere. Non è compatibile con l’idea di un partito il fatto di votare in modo diverso in un referendum sulla costituzione”. Lo constata Piero Sansonetti, direttore del quotidiano Il Dubbio. Alla direzione del Pd di lunedì sera si sono confrontate due posizioni antitetiche sulla riforma costituzionale. Da un lato il segretario, Matteo Renzi, ha cercato di sdrammatizzare: “Troviamo un punto di caduta ma basta con questo tormentone, se non passa il referendum la costituzione la cambiamo quando torna la cometa di Halley”. Dall’altra Gianni Cuperlo è andato all’attacco: “Se un accordo non si troverà prima della data, io voterò No al referendum e mi dimetterò da deputato”.
Sansonetti, Renzi è riuscito a evitare la spaccatura del Pd?
Già che lei lo chiami il Pd è un fatto importante, perché forse andrebbe chiamato l’ex Pd. Comunque la spaccatura è insanabile. Non è compatibile con l’idea di partito il fatto di votare in modo diverso a un referendum sulla costituzione, e del resto non è mai successo.
E’ la prima volta che un partito vive una fase di dissenso come questa?
I grandi partiti nei grandi referendum hanno avuto anche grandi dissensi, ma non si sono mai spaccati. Forse il dissenso più forte fu nella Dc ai tempi del divorzio. Nel 1974 nacquero i “Cristiani per il No”. Tra loro c’erano dei democristiani, ma il partito non si divise. Altre divisioni ci furono nel Pci ai tempi del primo referendum sul nucleare nel 1987.
E ai tempi dell’assemblea costituente?
In quell’epoca ci furono dei dissensi ma isolati. Sull’articolo 7 della costituzione, relativo ai rapporti tra Stato e Chiesa, i socialisti erano contrari mentre Palmiro Togliatti decise per il Sì. Qualcuno però, come Concetto Marchesi, votò in dissenso con il Pci. Un conto però è votare in dissenso con il proprio partito, un altro organizzare una battaglia popolare.
E’ quello che sta avvenendo nel Pd?
Esattamente. Un partito non può dividersi in modo così profondo senza conseguenze. La parte essenziale della componente ex Ds, che era la parte più forte del partito, vota No. Tra gli altri c’è l’ex segretario, Pier Luigi Bersani, l’ex presidente del consiglio, Massimo D’Alema, nonché Gianni Cuperlo. A pronunciarsi per il Sì è soltanto la parte ex migliorista del Pci, rappresentata da Giorgio Napolitano. In questo scontro il Pd finisce.
Chi sono i veri protagonisti della sfida referendaria?
Se vince il Sì è una clamorosa affermazione di Matteo Renzi nei confronti dell’intero schieramento politico, e quindi negli anni successivi sarà molto difficile mandarlo via. Se vince il No, chi può intestarsi questo risultato più di tutti è D’Alema. Berlusconi non sta partecipando con grande passione, lo stesso M5s non si occupa più di tanto del referendum, e del resto è difficile pensare che si trasformi in una vittoria personale di Matteo Salvini, Giorgia Meloni o Nicola Fratoianni (Sel). La verità è che se vince il No torna clamorosamente in scena D’Alema.
Quali saranno le conseguenze per il Pd di questa spaccatura?
Naturalmente saranno molto diverse a seconda che vinca il Sì o il No. Se vince il No Renzi dovrà lasciare la guida del partito alla vecchia componente ex Pci, e se anche riuscisse a rimanere a Palazzo Chigi non sarà più il padrone del governo. In questo caso il partito può anche rimanere unito.
E se vincono i Sì?
Nel caso in cui prevalgano i Sì quella di Renzi sarà una vittoria clamorosa al punto che diventerà il padrone dell’Italia, però non è detto che riesca a controllare il suo partito. A quel punto è abbastanza probabile lo spostamento di Renzi al centro e la nascita di una forza di sinistra non più residuale in grado di attrarre il 10-15% dell’elettorato. Il problema è come avverrà la riaggregazione al centro sotto la direzione e il potere formidabile di Renzi. Il premier probabilmente si mangerà tutti gli altri piccoli partiti di centro e forse anche un bel pezzo di Forza Italia.
Bersani ha detto: “Per quel che riguarda me, a portarmi fuori dal mio partito ci può riuscire solo la Pinotti… con l’esercito”. Significa che in ogni caso non ci sarà una scissione?
Bersani deve fare questa dichiarazione, e del resto lui spera di vincere perché in quel caso potrà tenersi il Pd. Anzi semmai a uscire sarà Renzi. Bersani sarebbe stato un suicida se avesse detto: “Ce ne andiamo dal Pd”. Il suo obiettivo è conquistare il partito, non andarsene. Ma se vincono i Sì il giorno dopo cambia tutto. Oggi come oggi però la mia sensazione è che i No siano in vantaggio, anche se in due mesi può succedere di tutto.
Se vince, Renzi cambierà comunque l’Italicum?
Renzi cambierà comunque l’Italicum anche se vince il referendum, e ovviamente farà una legge elettorale che gli sarà più favorevole, ma in ogni caso compirà un gesto magnanimo. Del resto se il 4 dicembre vince, dal giorno successivo il premier può fare quello che vuole. La sua sarebbe un’affermazione contro l’intero establishment, da destra a sinistra, e a quel punto avrebbe in mano tutto.
(Pietro Vernizzi)