Caro direttore,
come tutti sanno dobbiamo partecipare al referendum inerente le modifiche alla Costituzione perché queste sono state approvate con un voto di maggioranza e non con un voto dei due terzi del Parlamento. Ovvero gli eletti non hanno trovato il senso comune delle riforme necessarie, riforme che nessuno ha osato definire non necessarie.



Rendere il sistema legislativo del nostro paese meno rigido è una necessità che da tanti anni si presentava, con cicli di anni per riuscire a far approvare una nuova legge, e con l’evidenza che gli eletti sono troppi e troppo costosi.

Per molti anni non si è riusciti a decidere, aggravando sempre di più lo squilibrio istituzionale fra la debolezza del potere legislativo e la prevalenza degli altri poteri, in primo luogo della magistratura.



La crisi della politica ha portato ad una situazione di grave ingovernabilità, con governi di tecnici o governi creati dal presidente della Repubblica, mentre le regole per le elezioni si spingevano in avanti in modo disorganico, creando un bipolarismo immaturo e estremizzato. Fino a che, dopo il voto del 2013, non si è avuta la possibilità di una maggioranza eletta e in grado di governare.

E’ nato così il governo Renzi-Alfano, ovvero una maggioranza fatta solo per poter dare al Paese un governo, mettendo insieme partiti che sulla carta appartengono a fronti propositivi diversi.

Io sono grato del senso di responsabilità di coloro che si sono alleati temporaneamente, anche se di culture diverse, e cioè il Pd di Renzi e la galassia moderata del centro-destra. Hanno raggiunto un difficile accordo per il bene del Paese, che non avrebbe potuto tornare alle elezioni e dunque avrebbe vissuto una grave crisi di ingovernabilità.



Adesso ci stiamo avvicinando al referendum costituzionale, e votare Sì oppure No è diventata una specie di guerra tra visioni politiche opposte. Questo di per sé dimostra quanta parte della politica italiana sia irresponsabile ed estremizzata ai soli fini di manipolare il consenso e di affermare un potere di parte.

Il significato di questo referendum invece è quello di accettare o meno una possibilità iniziale di cambiamento tenendo conto che non ci sono le condizioni per un cambiamento più adeguato e completo. Ovvero tenendo conto che una larga parte del ceto politico non vuole perdere le posizioni di privilegio.

Per questo io voto Sì. Perché altrimenti per tanti anni non si cambierà nulla e la crisi della politica resterebbe a copertura di chi si fa solo i propri affari. Ecco perché sembra prevalere il fronte del No, da Rifondazione Comunista a Grillo a Salvini, e tanti di quelli che chiedevano riforme ma che ora preferiscono mantenere il proprio pezzo di consenso facendo così pagare al Paese il prezzo di un ulteriore arretramento. 

Non trovo ragionevole il No motivato dal “si potrebbe fare meglio”. Non è ragionevole perché non ci sono gli equilibri politici per fare meglio. Penso invece che se iniziamo con questi cambiamenti arriveremo a un sistema elettivo e legislativo che potrà trovare la forza per fare nuovi assestamenti.

Bisogna avere un Senato che sia veramente l’incontro delle varie regioni dell’Italia. Bisogna porre al lavoro un Parlamento che legiferi con maggiore chiarezza sul sistema elettorale. Bisogna ridurre maggiormente i costi della politica. Consapevole che dopo ci sarà da fare molto, io per ora voto Sì.