Il nome di Sergio Mattarella compare nella lista dei testimoni che dai difensori dell’ex ministro ed ex presidente del Senato, Nicola Mancino, è stata presentata nel processo di Palermo sulla trattativa Stato-mafia. E’ imputato di falsa testimonianza per non voler ammettere l’esistenza di questa intesa.



Ad avviarla per conto dello Stato fu il colonnello dei Ros Mario Mori e per conto di Cosa Nostra l’ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino.

Non si può dire che la discussione sull’elenco delle condizioni poste da Riina per sospendere le stragi abbia trovato resistenze (se non in dichiarazioni post festum, decine di anni dopo)  nel capo dello Stato Oscar Luigi Scalfaro, nel presidente del Consiglio né nella maggioranza dei ministri, dei comandanti delle forze dell’ordine e anche dei partiti di opposizione. Che cosa questa democraticissima oligarchia pensava delle proposte e degli accordi che venivano intessuti tra lo Stato e la mafia prima di sabato 1° giugno 2013?



Questa data si riferisce al giorno in cui il titolare della cattedra di diritto penale dell’Università di Palermo, prof. Giovanni Fiandaca, ha sostenuto sul quotidiano Il Foglio (diretto da Giuliano Ferrara) che la trattativa, di fronte ad un sovrastante pericolo maggiore come una carneficina, era un atto lecito, anzi obbligato.

Ma prima di essa è stata una fiera di bocche cucite, abbozzamenti, un fuggifuggi generale, un gioco impudico a nascondino, quello di dire e non dire, dichiarare e smentire. Si può davvero credere che quasi tutto il ceto di governo sia stato tenuto all’oscuro di quello che  discutevano i Ros e Cosa nostra? O si preferisce annegare la vicenda nel sopraggiungere, e diffondersi come un contagio e una metastasi, di un’irrefrenabile amnesia collettiva?



Purtroppo il contributo della stampa e in generale dei media a fare luce non è stato, e non è, molto. Un quotidiano di buona fattura, specializzato non nel trovare notizie, ma nel distillare commenti, come Il Foglio, si dedica (per l’opera di giornalisti a volte finiti nelle fascinose grazie dei fratelli Salvo) a denigrare o ridicoleggiare le domande elementari, più sensate che questa vicenda sollecita: dopo le stragi di Palermo (Capaci e Via d’Amelio) ci fu un intervento del presidente Scalfaro per alleviare ai boss i rigori del 41bis e avere da essi la promessa di porre fine alla campagna stragista? In questa trama di tentativi fu coinvolto lo stesso ministro della Giustizia Giovanni Conso, il che spiegherebbe così la sua proterva e inedita rinuncia a informare i suoi più stretti collaboratori e i suoi “superiori” (presidente del Consiglio e della Repubblica, ministro dell’Interno, Dap eccetera) della decisione straordinaria di revocare il carcere duro a molte centinaia di criminali e feroci assassini? E chiedere di acquisire le intercettazioni tra Napolitano e un uomo sotto schiaffo come il ministro Mancino, e le agende, cioè i diari, del suo predecessore Carlo Azeglio Ciampi è spocchia giudiziaria, o elementare dovere del pm palermitani, ieri e oggi? 

E il reato di falsa testimonianza contestato a Conso e a Mancino è così risibile rispetto a quello di avere tenuto bordone nella trattativa Stato-mafia, dal momento che entrambi i due  ministri dell’Interno furono sponsorizzati da Scalfaro? 

Che cosa meno indecente e anzi più ragionevole (non solo per l’accusa, di Ingroia prima e Di Matteo oggi) che il Quirinale abbia voluto “assecondare l’ipotesi, già accettata da Scalfaro, di un alleggerimento del regime carcerario previsto dal 41 bis e mantenere così l’impegno preso con i boss”? (Giuseppe Sottile, “Dopo Scalfaro, Napolitano, Ciampi, la Trattativa chiama Mattarella, Il Foglio, 16 ottobre 2016. Sottile non si esita, come si vede, a presentare Scalfaro come un segmento, non da poco, della trama ordita — con attori come Conso, Mancino ecc. — per convincere Riina, Provenzano e compari a sospendere la mattanza e assicurarsi un meno energico trattamento in carcere).

Dai tribunali di Palermo e Caltanissetta ci si aspetta che questa malastampa, queste nebbie (o pretesti che dir si voglia) vengano finalmente diradati.