Un primo ricorso sul quesito del referendum costituzionale è stato respinto, con l’eventuale pronuncia che potrebbe essere svolta solo da Cassazione o in alternativa la Corte Costituzionale – così hanno deciso i giudici del Tar Lazio dopo la sentenza di stamane – ma altri ricorsi sono ancora aperti al tribunale di Milano che oggi ha affermato che prenderà una decisione il prossimo 27 ottobre. «Il giudice Loreta Dorigo si prenderà qualche giorno per decidere sull’istanza dei 5 legali (Claudio e Ilaria Tani,Felice Besostri, Emilio Zecca e Aldo Bozzi), che sono gli stessi che hanno già vinto la battaglia davanti alla Consulta sul Porcellum», riporta la fonte del Fatto Quotidiano. Gli avvocati ritengono che la riforma costituzionale così strutturata non breve l’articolazione dei quesiti in caso di referendum approvato. Secondo l’avvocato Claudio Tali, raggiunto sempre dal Fatto, il termine dell’udienza con un eventuale rinvio alla Corte Costituzionale rimetterebbe «in pendenza di giudizio della Consulta, alla discrezionalità politica l’opportunità e la necessità di disporre il rinvio del voto previsto per il 4 di dicembre. Un rinvio non pregiudicherebbe nulla, perché nel frattempo l’attuale Costituzione resterebbe in vigore. Non è morta ed esiste ancora».
Sul referendum Costituzionale la giornata di oggi ha visto il ricorso respinto sul quesito del voto al 4 dicembre 2016: la grande attesa è sfociata però, secondo alcuni esperti costituzionalisti tra i promotori del ricorso, la decisione dei giudizi del Tar del Lazio è stata senza coraggio. «I giudici amministrativi non hanno avuto il coraggio di affrontare il tema, sostanzialmente hanno chiuso la possibilità di una tutela giurisdizionale, evitando peraltro una legittima remissione alla Corte costituzionale» sono le parole di Luciano Vasques, avvocato tra i promotori del ricorso presentato da M5s e Sinistra Italiana settimana fa che oggi ha ricevuto la bocciatura del Tribunale. Non ci sarà dunque la remissione alla Consulta, anche se nella parte finale del comunicato del Tar viene esplicitato come l’ufficio centrale del referendum può rivolgere alla Corte Costituzionale se vi fossero eventuali questioni di costituzionalità a rischio. «Il rinvio alla Consulta avrebbe probabilmente risolto un grave problema di assenza assoluta di tutela verso abusi nella formulazione dei titoli e dei relativi quesiti, nell’ambito di procedimento di referendum costituzionali», conclude un amareggiato avvocato Vasquez sul Sole 24Ore.
Il Tar ha espresso il suo giudizio sul referendum costituzionale ma la battaglia contro il quesito del testo al voto il prossimo 4 dicembre 2016 non è certo finita: le prime motivazioni – che arriveranno in forma contea entro fine giornata – della sentenza enunciata stamani dal Tar del Lazio vanno a toccare punti assai interessanti. Detto della inammissibilità del Tar nel giudicare il quesito “per difetto di giurisdizione”, la nota dei giudici della sezione 2bis del Tar laziale esprime quanto segue: «L’individuazione del quesito contestato è riconducibile alle ordinanze adottate dall’Ufficio Centrale per il Referendum istituito presso la Corte di Cassazione ed è stato successivamente recepito dal Presidente della Repubblica nel decreto impugnato». Mattarella e Cassazione, sono questi due organi che secondo il Tar del Lazio garantiscono la legittimità di tale quesito referendario, e si sono già espressi nelle scorse settimane: «sono espressione di un ruolo di garanzia, nella prospettiva della tutela generale dell’ordinamento, e si caratterizzano per la loro assoluta neutralità, che li sottrae al sindacato giurisdizionale». Ma allora perché 3-4 giorni in conclave per arrivare a questa conclusione? Si saprà meglio nelle motivazioni complete, ma secondo il Codacons ora l’intera battaglia non finisce, anzi «si sposta in Cassazione».
Dopo 4 giorni di udienza, il Tar del Lazio ha emesso la sentenza sul ricorso al quesito del referendum costituzionale: in sostanza, il ricorso presentato da M5s e Sinistra Italiana, è definito inammissibile per difetto di giurisdizione. Ovvero, secondo il Tar del Lazio, il tribunale amministrativo non è la sede per definire legittimo o meno la veridicità del quesito referendario, accusato dalle opposizioni al Governo di essere troppo esposto e ideologicamente orientato verso il Sì. Per il Tar dunque arriva la decisione dopo giorni di udienza in conclave: una tempistica molto strana visto che per una legittimità o meno di giurisdizione sarebbe bastato un pomeriggio per definirlo: evidentemente non vi era accorso tra i giudici, anche se per dirlo con certezza bisognerà attendere le motivazioni della sentenza che saranno disponibili nei prossimi giorni. Al momento dunque, lo ripetiamo, il quesito rimane com’è e il voto del referendum costituzionale rimarrà il 4 dicembre prossimo.
Il referendum costituzionale attende due principali momenti: uno è il 4 dicembre, data del voto con le urne che ospiteranno finalmente la giornata di referendum confermativo per decidere sull’approvazione o meno della riforma Boschi; secondo momento è la sentenza del Tar del Lazio sulla legittimità o meno del quesito, sotto processo e ricorso da più parti. Questo secondo momento in realtà avrei dovuti tenersi nella giornata di ieri, ma dopo il terzo giorno di riunione in conclave del Tribunale amministrativo del Lazio, ancora non si ha un risultato e il tempo comincia a fare capire come sia così scontato l’uscita indenne di quel quesito e quindi di quel referendum dall’aula di tribunale. Mentre si cercano novità ulteriori sulla decisione dei giudici, torniamo sul primo momento decisivo per il referendum costituzionale; anzi, andiamo a qualche ora più tardi, al 5 dicembre mattina. Se quel giorno l’Italia si svegliasse con la vittoria del No, cosa farà l’inquilino del Quirinale, Sergio Mattarella? Le ipotesi sono tante, le dietrologie pure: da Bloomberg ne arriva una forse più realistica delle altre, che prevede il successore al Matteo Renzi dimissionario che potrebbe essere… Matteo Renzi. Non siamo impazziti, ma l’ipotesi che vede in campo il piano di Mattarella in caso di No referendario vede proprio il fiorentino come premio pro-tempore con un unico obiettivo di mandato. Fare, approvare e pubblicare la nuova legge elettorale, visto che l’Italicum se il referendum vede sconfitta la riforma Boschi vedrebbe assolutamente inutile tutto l’impianto della legge elettorale attuale, che non prevede infatti l’elezione del Senato. A quel punto elezioni anticipate al 2017 e nessuna altra riforma se non appunto il nuovo Italicum: ma l’Italia pagherebbe in termini economici e sociali un ritardo del genere e proprio per questo, in sintesi, il Capo dello Stato quel 5 dicembre mattina non vorrebbe svegliarsi con questo piano in testa… (Niccolò Magnani)