Un tempo gli incontri tra capi di stato, soprattutto tra quelli con gradi di disparità di potere evidenti e preclari, avvenivano con discrezione, quasi in segreto. Un comunicato scarno ed essenziale seguiva all’incontro e pure le foto distribuite in un secondo tempo sottostavano a un rigido protocollo. Oggi nel mondo dello streaming tutto è diverso e più chiasso si fa meglio l’accordo o l’incontro sortisce i suoi effetti: nulla si continua a sapere dei temi essenziali, ma tutto si crede di sapere delle vicende che immediatamente si dipanano sotto i nostri occhi.
Un repertorio tutto mutato. Si portano non più doni, ma fisiche rappresentazioni di ciò che si pensa siano i fiori all’occhiello della nazione prostrata e pronta a ricevere l’endorsement. Matteo Renzi ha portato al seguito una validissima scienziata per ricordare che non solo eravamo ma siamo la nazione di Galileo, poi un comico che recita Dante come se fosse Pascarella, confermando lo stereotipo dell’italico guitto, e poi un magistrato che oggi cerca di tenere a bada una nazione di mascalzoni e questo non ci ha fatto fare una bella figura. Mancava un cuoco che cucinasse spaghetti seriali ed eravamo ben disegnati secondo tutti i pregiudizi che ci distruggono. Un bell’operaio moderno in camice bianco e un padroncino ruspante e geniale ci sarebbero stati meglio, ma non si può volere tutto.
Da Obama Renzi ha ottenuto ciò che voleva: un bel Sì per il referendum. Ma qui il vecchio kissingeriano come me trasecola. Gli Usa non possono sposare così dichiaratamente una delle due squadre in una partita che deve ancora essere giocata, occorre sempre tenersi le mani libere ed era meglio insistere su quella parte dell’endorsement che pure vi era, ossia quella in cui si assicurava il mondo che Sì o No non sarebbe stata una catastrofe.
Ma questo presuppone un pensiero non un atteggiamento diplomatico, che negli Usa non esiste più, come mostra la tragedia consumatasi quando Obama ha vietato a tutti di seguire il Regno Unito allorché ha fondato la Banca asiatica d’investimento per le infrastrutture di cinese ideazione e di inglese realizzazione. Nessuno, salvo il Giappone, ha ubbidito, con un discredito internazionale degli Usa che la successiva Brexit ha portato alle stelle.
Allora gloriamoci certo della fiducia dimostrataci dal nostro alleato indispensabile di sempre, ma speriamo che questo endorsement così buffo, o meglio così arruffato e rustico, non si riveli improvvido sia per l’Italia, sia per gli Usa.