La frase più rivelatrice è quella in cui spiega che la questione non è un decimale in più, o in meno. Il cuore del guanto di sfida lanciato all’Europa sta tutto lì. Matteo Renzi ha ormai messo nel mirino l’Unione, e non mostra di voler fare retromarcia, almeno per ora. 

In gioco, ha spiegato nel salotto di Lucia Annunziata, c’è molto di più: “Non è importante, non è decisivo, lo 0,1% o questa legge di bilancio. L’elemento di discussione con l’Ue è il bilancio europeo dei prossimi anni, noi siamo impegnati in una battaglia storica perché il bilancio Ue tenga insieme diritti e doveri”. 



Il terreno è stato scelto con cura, e preparato da un’intervista insolitamente ultimativa del serafico Pier Carlo Padoan: o noi o l’Ungheria. “Oggi — scandisce Renzi — l’Italia dà 20 miliardi di euro all’Unione, e ne riceve indietro 12. Noi diciamo: almeno possiamo iniziare a far si che quelli che prendono soldi prendono anche i migranti?”.



I toni strillati certo non faranno fare i salti di gioia a Mattarella, ma la strategia escogitata a Palazzo Chigi sembra ormai chiara: affondare i colpi su un bersaglio ritenuto debole, e in ginocchio. Colpire sotto la cintura, con poco riguardo per le regole del fair play e della diplomazia: il tema dei migranti, dove nessuno, salvo forse la Germania, ha mantenuto gli impegni presi negli estenuanti vertici europei. Se Bruxelles vuole che l’Italia rispetti le regole del rigore nel fare la sua legge di bilancio, sappia che dovrà ottenere che altri rispettino altri impegni.

Che l’Unione sia giudicata oggi dallo stato maggiore renziano una tigre di carta è dimostrato da almeno altri due elementi. Il primo, il definire “fisiologiche” le lettere di richiesta di chiarimenti in arrivo nelle prossime ore, che peraltro pare non riguarderanno solo l’Italia, ma anche altri cinque o sei paesi. Secondo elemento, rivelato da Renzi in trasmissione (il testo della manovra è ancora un mistero), l’aver inzeppato nell’elenco degli stanziamenti a favore del terremoto nella zona di Amatrice anche i residui fondi per il sisma dell’Aquila del 2009 e dell’Emilia Romagna del 2012. Se non si tratta di una provocazione, poco ci manca.



Renzi si sente abbastanza tranquillo che da Bruxelles non gli arriveranno troppe seccature, almeno sino al 4 dicembre. Del resto, anche Juncker e soci hanno tutto l’interesse a non metterlo troppo in difficoltà. Un Renzi sconfitto al referendum costituzionale costituirebbe un grosso problema per l’Europa, che dell’instabilità italiana ha sempre paura. 

Dopo il 4 dicembre è possibile che da Bruxelles arrivi un richiamo più fermo a correggere la manovra, ma sino ad allora è facile prevedere che prevarrà la cautela. Il premier, allora, si sente autorizzato a picchiare duro, traendo da questa situazione il massimo guadagno possibile. Approfitta della relativa calma per usare l’affondo contro l’Unione Europea per convincere gli anti europeisti a votare Sì al suo referendum, quello a cui è appeso gran parte del suo futuro politico. 

Dal momento che da tempo Renzi ha maturato la convinzione che la battaglia sarà vinta se saprà sfondare dentro l’elettorato tradizionalmente di centrodestra, sparare a zero contro l’Europa matrigna può rassicurare una certa fascia di delusi dell’Unione, che altrimenti seguirebbero le indicazioni di Salvini, della Meloni e di Berlusconi. Il presidente del Consiglio si vuol porre come garante dell’antieuropeismo. Sembra intenzionato a “rubare” in ogni fascia dell’elettorato. 

Un certo antieuropeismo è anche patrimonio del Movimento 5 Stelle, ma in questo caso la sfida si svolge soprattutto sul piano dell’antipolitica. Non diversamente si può leggere infatti l’attacco frontale al vicepresidente della Camera, Luigi Di Maio, sul dimezzamento dello stipendio dei parlamentari. La provocazione di ridurlo in base alle presenze in aula (Di Maio sta appena al 37%) è il tentativo di accreditarsi come il vero castigamatti dei costi della politica agli occhi di chi non lo voterà mai, ma potrebbe lasciarsi sedurre almeno al punto di appoggiare la riforma costituzionale. 

Renzi quindi antieuropeista per sfondare al centro-destra e antipolitico per scardinare il consenso dei grillini. La strategia a tutto campo di Palazzo Chigi diventa così chiara ed evidente. Quello che lo è molto meno è che cosa potrebbe succedere all’indomani della consultazione popolare. Tra 40 giorni tutti saranno pronti a presentargli il conto. Se l’offensiva avvolgente avrà avuto successo, il premier avrà buon gioco a concedere qualcosa all’Europa, e uscirà dall’angolo. C’è chi teme una manovra correttiva dei conti pubblici in primavera, ma solo chi vivrà, vedrà.

Ben diverso sarà lo scenario se sarà il No a trionfare, come appare ancora probabile sulla base dei sondaggi. In quel caso l’attacco al premier sarà concentrico. Sarà tutt’altro che facile uscirne, anche se Renzi oggi sembra non porsi neppure il problema, sicuro com’è di riuscire a risalire la china del consenso. Il gioco è sempre al rialzo, e ormai rien ne va plus.