Sul referendum costituzionale, dopo la vittoria del Sì incassata con il ricorso del Codacons bocciato dalla Cassazione, ora arriva una piccola rivincita per il fronte del No con l’avviso che arriva direttamente dall’Agcom, l’agenzia che vigila sulla comunicazione in tv e sui media. In pratica, l’Agcom ha inoltrato un nuovo richiamo per le reti generalità Rai, Mediaset, La7 e Sky per la troppa presenza del premier Renzi tra dibattiti, interventi e interviste. In generale i dati mostrano come sui temi del referendum vi è in atto un “sostanziale comportamento equilibrato” da parte di tutte le emittenti, ma Renzi dilagherebbe qualora non si parli direttamente della consultazione costituzionale. Stando ai dati di Agcom prodotti nel pomeriggio di oggi, solo La7 ha visto una lieve maggioranza delle posizioni del No in quanto a tempo speso in tv, mentre le altre reti vedono il Sì in “vantaggio”. «’Autorità ha ravvisato da una parte l’esigenza di limitare la presenza dei rappresentanti del Governo e del Presidente del Consiglioalla necessità di assicurare la completezza e l’imparzialità dell’informazione (ex legge 515/93) – fatta salva l’attualità della cronaca e dell’agenda politica – dall’altra, quella di garantire un adeguato contraddittorio tra le diverse forze politiche. Conseguentemente, l’Autorità ha adottato dei provvedimenti di richiamo nei confronti di Rai, Mediaset, Sky e La7“», è il messaggio ufficiale di Agcom.
Secondo ricorso e seconda bocciatura: il referendum costituzionale resiste anche al ricorso presentato dal Codacons dopo quello di M5s e Sinistra Italiana, entrambi sulla legittimità di un quesito referendario così costituito. Medesimo risultato ma motivazioni diverse, questa volta, per la bocciatura arrivata contro il ricorso presentato dall’associazione di consumatori diretta da Carlo Rienzi, che chiedeva la correzione del quesito referendario perché troppo “spostato” verso il Sì. Secondo la Corte di Cassazione è “inammissibile per difetto di legittimazione attiva” il ricorso presentato e pertanto non ci saranno modifiche al testo presentato dal governo e presente alle urne il prossimo 4 dicembre 2016. In poche parole, la Cassazione ha evidenziato come il Codacons non sia un soggetto titolare dei requisiti necessari per poter avanzare una richiesta del genere all’Ufficio Centrale del Referendum. «Sul quesito referendario sembra che tutti se ne lavino le mani. L’Ufficio centrale del referendum, ovviamente, non poteva riconoscere un proprio errore, e il rigetto della nostra istanza era purtroppo prevedibile», afferma Rienzi al Fatto Quotidiano. Resta aperta la finestra del 15 novembre quando la Cassazione dovrà pronunciarsi definitivamente sull’altro ricorso Codaconsa, dove viene chiesto parere sull’eventuale “eccesso di giurisdizione” del referendum stesso.
Il No al referendum costituzionale 2016 resta un mantra delle opposizioni politiche al governo Renzi, con un arco costituzionale che va dalla Lega Nord fino al Movimento 5 stelle passando per Forza Italia e Sinistra Italiana. Sono però Salvini e Grillo i maggiori oppositori della riforma costituzionale perché non solo contestano la messa in pratica, la scelta del referendum e i possibili esiti del Sì, ma mettono i discussione anche l’imparzialità di quell’arbitro istituzionale che dovrebbe garantire lo svolgimento democratico delle istituzioni stesse. Si parla ovviamente del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, figura tra l’altro che potrebbe subire modifiche quantomeno nell’elezione diretta, dal momento in cui vincerebbe il Sì alla riforma Boschi. L’affondo di oggi di Matteo Salvini va esattamente in questa direzione: «Mattarella e Renzi? Chi si somiglia si piglia, si fanno favori a vicenda. Che il Presidente della Repubblica si schieri per il sì è imbarazzante, ma tanto meglio, almeno gli italiani capiscono. Napolitano dieci anni fa si schierò per il no dicendo che le Costituzioni non si cambiano a colpi di maggioranza, evidentemente cambia idea con il passare degli anni. Mattarella? Non è un arbitro imparziale, ha la maglietta e sta giocando apertamente in campo con una delle squadre. Ma gli italiani ormai non aspettano più che il capo bastone di turno gli spieghi cosa fare da grande».
È un invito sincero e non una frattura, ma sul referendum costituzionale del prossimo 4 dicembre 2016 il fronte dei moderati vede una distanza sulla posizione per la riforma costituzionale. A parlare tra i maggiori esponenti del Sì al referendum è Marcello Pera, stimato ex presidente del Senato, filosofo e da sempre legato a Silvio Berlusconi: in una intervista al Tempo racconta la sua di versione, netta e schietta. «”La vittoria del sì al referendum costituzionale può salvare l’Italia e anche il centrodestra di Berlusconi. Il no, al contrario, consegnerà il Paese all’antipolitica e a coloro che vogliono la fine di Forza Italia e dell’evoluzione del Pd». Secondo Pera infatti “quello che oggi ci offre la riforma Boschi è meno di ciò che noi all’origine proponevamo, ma è più di quanto abbiamo ottenuto con i governi Berlusconi, perché non abbiamo ottenuto nulla”. Pera espone anche la strategia del possibile centrodestra che si schiera per il Sì, visto che i non-Pd che partecipano attivamente al voto potrebbero rappresentare il futuro del centrodestra non anti-politico e spostato verso gli estremi di Salvini e Meloni, «possono ricostruire una forza liberal-democratica che oggi non è più rappresentata, anche se i parlamentari di Scelta Civica e Ala ci lavorano. Scongelati e vota Sì, caro Silvio!» recita l’invito sincero di Pera al leader di Forza Italia.
Il primo ricorso sul referendum costituzionale e sul suo quesito contestato da tanti è stato bocciato la scorsa settimana dal Tar del Lazio ma questo non toglie che vi siano in piedi altri ricorsi, del Codacons e soprattutto di Valerio Onida, presidente emerito della Corte Costituzionale e aspro opponente a Renzi per le ragioni profondo di un No alla riforma così strutturata. Il voto del 4 dicembre, lo riafferma oggi in una intervista ad Huffington Post, resta un rebus che il Tribunale deve risolvere al più breve tempo possibile. «La scorsa settimana, però, il Tar ha già bocciato le richieste avanzate da M5s e Sinistra italiana per stoppare il quesito. “Si tratta di due cose diverse”, sottolinea Onida, che critica una riforma “figlia della cultura della fretta e dello scontro”, dietro cui si cela l’intento di traghettare il paese verso “l’elezione diretta del premier”», riporta il passaggio del collega di Huffington Post. Onida è convinto che il suo ricorso possa aver un seguito e un esito diverso da quello di M5s e Sinistra Italiana: «Quel ricorso puntava sul fatto che il quesito sia ingannevole. Quello che abbiamo presentato noi, invece, solleva essenzialmente il problema della disomogeneità del quesito stesso, che si riferisce ad oggetti e contenuti multipli e molto diversi tra loro. Questo lo rende lesivo della libertà di voto dell’elettore perché gli viene sottoposta un’unica domanda a cui può rispondere con un Sì o con un No, mentre ad essere oggetto di modifiche costituzionali sono molti aspetti diversi ed eterogenei». I punti in effetti sono tanti e molto vari e il rischio secondo Onida è che il referendum possa avere un effetto plebiscitario da tutto sì o tutto no…
Il referendum costituzionale entra nell’ennesima settimana di campagna elettorale, il giorno dopo l’intervista fiume di Matteo Renzi a In mezz’ora da Lucia Annunziata: Il premier ha provato a rilanciare per l’ennesima volta le ragioni del Sì, questa volta però entrando più nei contenuti nonostante le domande della Annunziata abbiano più volte cercato di portare l’ambito dello scontro sul piano politico parlamentare (e Renzi non si è certo tirato indietro). Quesito referendari in mano per illustrare la domanda, così tanto discussa, che troveremo nelle urne il prossimo 4 dicembre, e poi via sul tema della semplificazione, una parte consistente del referendum specie nel settore abolizione Cnel e riduzione dei parlamentari. «Ciascuno ha la sua idea. Chi voleva ridurre i deputati, chi voleva chiudere il Senato – sottolinea il segretario del Partito democratico – Io, ad esempio, volevo unSenato di sindaci. Chiaramente si può avere dubbi su questa proposta. Ma al referendum non si sceglie tra varie proposte; c’è solo questa proposta. Bisogna scegliere tra semplificare e proseguire con questo ceto politico. Non c’è una terza via». Reattivo anche quando gli viene chiesto perché non utilizzare la proposta del Movimento 5 Stelle che mira a tagliare gli stipendi e le indennità dei parlamentari, prima che abolire un Senato per farne un altro “nominato”: «Il Pd studierà il ddl sul dimezzamento degli stipendi, ma il problema è come si taglieranno questi costi. M5S la butta incorner quando è in difficoltà. La loro proposta nel merito rischia di non funzionare». Poteva mancare a questo punto lo “sforamento” nella diatriba elettorale? Ovviamente no, quando Renzi ha proposto l’indennità in base alle presenze in aula: «Luigi Di Maio ha il 37% delle presenze in aula. Oggi Di Maio e Di Battista, come quelli del Pd, prendono il doppio di quello che prendo io come presidente del Consiglio. Allora perché non diamo a Di Maio il 37% dello stipendio? Loro giocano a fare i più puri degli altri, invece sono non dico peggio ma come gli altri. (Niccolò Magnani)