Giorgio Napolitano interviene a difesa del Referendum Costituzionale 2016, dopo esserne stato il “padre” autorevole nella formazione della stessa riforma Boschi. Il prossimo 4 dicembre per il Presidente Emerito della Repubblica sarà un giorno importante per “difendere la Costituzione” al netto di tutte le polemiche e critiche delle opposizioni contro la scelta di Napolitano di appoggiare il governo Renzi e la sua riforma principale. «Il valore della carta del 1948 e il ruolo delle istituzioni non si difendono con l’immobilismo e con una interminabile serie di tentativi abortiti e di ingannevoli rinvii», è una parte del messaggio riportato da Askanews invitato ai partecipanti dell’incontro di quasi 500 docenti e accademici a sostegno della Riforma costituzionale in corso al museo della Scienza e della Tecnica di Milano, a cui partecipa anche il ministro dell’Istruzione e Università Stefania Giannini. I tentativi di modificare la Carta devono essere aiutati e non contrastati, secondo Napolitano, visto che il rischio può avere «pesanti ricadute per la stabilità politica e la funzionalità del sistema democratico. Come già dissero e vollero i padri costituenti si deve non solo impedire ma nemmeno, sono le loro parole, rendere difficilissima una revisione della carta dinanzi all’emergere di bisogni sempre nuovi e diversi».
Referendum e sempre più referendum costituzionale: anche nella puntata di ieri sera a Porta a Porta il voto del 4 dicembre prossimo è tornato al centro del dibattito del premier Renzi che da settimane porta avanti la campagna elettorale per il Sì. Il passaggio, dove si evince un’ennesima provocazione contro la minoranza del Pd che tormenta il voto con la frattura interna al centrosinistra, interessa anche una platea più larga di quelli che prima hanno scritto, votato e sostenuto la riforma costituzionale e ora alla prova dei fatti affermano di votare no. «io non ho ancora capito cosa voterà Bersani. Vi sembra normale che chi ha votato una legge per tre volte in Parlamento poi voti no al referendum? Non solo Bersani, anche Schifani e altri», sono le parole di Matteo Renzi davanti a Bruno Vespa negli studi di Porta a Porta. Un attacco ma anche una sottolineatura di coerenza politica che come sempre resta un “valore” assai dimentico: Bersani ha sempre sostenuto di essere indeciso sul voto perché legato a doppio filo con la legge elettorale dell’Italicum, ma in effetti rispetto al voto in Parlamento la legge così com’è ora è stata votata da lui e da larga parte della minoranza…
Referendum, a Roma sabato la piazza per il Sì è chiamata dal Pd e da Renzi per la prima grande manifestazione a favore del Sì al referendum costituzionale del 4 dicembre 2016: un momento importante anche per vedere all’interno del Pd come è lo stato delle cose dopo le lotte e fratture interne che stanno minando anche la stagione parlamentare sugli altri temi della politica, quasi bloccati dalle vicende riferite al referendum. In Piazza del Popolo a Roma alle 14 ci sarà la riunione del popolo del Sì, mentre su tutta Italia si organizzano eventi alternativi ovviamente per il No in modo da esaltare lo scontro tra le due fazioni prima del voto di dicembre. A sorpresa, mentre Speranza declina l’invito (“Non vado nelle manifestazioni contrarie a ciò che penso”, racconta a Repubblica) ci sarà Gianni Cuperlo, avverso al Sì e ancora di fatto speranzoso di trovare un’alternativa allo strappo con un eventuale accordo sull’Italicum. «Sono un funzionario di partito, vado dove il partito chiama», afferma senza fronzoli lo stesso Cuperlo a Unità Tv.
La campagna per il referendum costituzionale del prossimo 4 dicembre 2016 è in piena maturazione, ma i contenuti della riforma Boschi non sono così “maturi” o quantomeno spesso vengono considerati in secondo piano nella discussione sui pro e i contro del Sì/No del referendum. Si perde così però il vero centro della questione, oltre che un’occasione utile per poter conoscere di più e meglio quanto andremo a votare tra un mese e mezzo. Uno die punti più spinosi dell’intera vicenda referendaria è certamente la modifica del Titolo V della Costituzione, ovvero quella parte che regolamenta i rapporti tra Stato e Regioni con relative competenze. Nel 2001 fu riformata quella specifica parte ma i risultati, dopo 15 anni si possono dire tutt’altro che soddisfacenti: «alle Regioni vennero affidate molte competenze riservate fino ad allora allo Stato, senza però un parallelo aumento della loro autonomia fiscale, sicché ogni ente si è trovato a poter incrementare le spese senza dover pagare alcun prezzo politico in termini di inasprimento delle tasse locali», racconta Luca Ricolfi. Il ddl Boschi nasce dunque come riposta al parziale fallimento di quella modifica costituzionale e propone una quesitone di fondo assai semplice: centralizza alcune delle competenze che lo Stato aveva delegato alle Regioni. Il ddl mette anche dei paletti all’autonomia fiscale dei vari enti locali e stabilisce un tetto agli emolumenti dei consiglieri regionali.
Ma quali sono queste competenze che ritornano in mano allo stato e che vengono giudicate dal governo Renzi come di stretta osservanza dello stato e non più delle regioni che hanno “sperperato” in questi anni? Tra le tante, le maggiori sono illustrate dalla slide del governo stesso: si vede il coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; le norme generale sul procedimento amministrativo e sulla disciplina giuridica del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche. Ma anche ordinamento scolastico, istruzione universitaria e programmazione strategica della ricerca, l’ordinamento dei Comuni, delle Città Metropolitane e di enti di vasta area: da ultimo, il commercio con l’estero, l’ambiente, l’ecosistema, i beni culturali e paesaggistici, oltre che le norme generali per la tutela e la sicurezza del lavoro. Votando Sì al referendum di dicembre si avvalla il ritorno di queste competenze allo Stato, mentre votando No si mantiene l’attuale legislazione per quanto stabilito dall’ultima modifica costituzionale sul Titolo V dello scorso 2001. (Niccolò Magnani)