Voglio dare un consiglio non richiesto a Silvio Berlusconi: la smetta di fingere di fare campagna per il “No” al referendum, segua i consigli di Fedele Confalonieri e dei suoi figli e si schieri più o meno apertamente per il “Sì”, se non vuole che le aziende che ha creato in una vita di lavoro subiscano il “trattamento spread” che ha subito lui nel 2011. Lo so, è brutto dire certe cose, ma la realtà va affrontata, piaccia o meno. E non faccio riferimento allo scandaloso silenzio del governo sulla questione Mediaset-Vivendi sul nodo Premium, visto che in Francia – alla faccia degli aiuti di Stato – la politica tutela gli interessi economici nazionali, andando ben oltre le regole, quanto a ciò che è stato confermato ieri e anticipato meritoriamente il 30 settembre scorso da MF-Milano Finanza: la Banca centrale europea, a seguito di un procedimento amministrativo istruito dalla solerte (quando vuole) Banca d’Italia, ha scritto a Fininvest dicendo che intende opporsi all’acquisizione del Biscione di una partecipazione qualificata in Banca Mediolanum, a causa della mancanza dei requisiti di onorabilità da parte di Silvio Berlusconi. 



Si tratta della vecchia questione relativa alla quota del 30,042%, che rappresenta la maggioranza relativa, in capo a Silvio Berlusconi tramite la propria finanziaria di Investimento in Banca Mediolanum: e quale sarebbe il nodo? Non trattandosi di un’acquisizione vera e propria, visto che si parla di un asset storico per Berlusconi, la criticità si concentra nel fatto che la Bce considera la recente operazione di fusione per incorporazione di Mediolanum in Banca Mediolanum l’avvio de facto di un nuovo istituto di credito. Ed ecco quindi il nodo dell’onorabilità che diviene dirimente: Fininvest aveva fatto ricorso al Consiglio di Stato nel marzo scorso, perché era stata Banca d’Italia a sollevare la questione un anno prima, in virtù del fatto che la normativa bancaria oggi prevede che non si possa detenere oltre il 10% delle quote in un istituto di credito in mancanza del requisito di onorabilità. Fino al 9,99%, chi se ne importa. Di più, il Consiglio di Stato aveva dato parere positivo a Fininvest, di fatto facendo apparire chiusa la vicenda. 



Non è così, invece, tanto che ieri la finanziaria scriveva in una nota che, «riservandosi ogni ulteriore commento una volta effettuati gli opportuni approfondimenti, contesta in radice il fondamento giuridico di questa decisione, nonché la legittimità degli atti del procedimento che ad una tale decisione hanno condotto». E ancora: «Convinta della validità delle proprie ragioni, che hanno già trovato pieno riconoscimento da parte del Consiglio di Stato, la società tutelerà con la massima energia e determinazione i propri diritti ed interessi, agendo in tutte le sedi previste dalla normativa sia a livello nazionale che europeo». 



Per l’ad di Banca Mediolanum, Massimo Doris, «oggi viene rimesso in discussione quel che era stato deciso dal Consiglio di Stato. Tengo a dire, innanzitutto, al milione di clienti di Banca Mediolanum che non devono preoccuparsi: qualunque sia l’esito di questa nuova fase del procedimento, non ha nulla a che vedere con la solidità della banca che non è messa in discussione>» Restano infatti molti nodi da sciogliere: «Bisogna capire se verrà congelata una quota di Fininvest, quale pacchetto sarà eventualmente interessato dal provvedimento e se dovrà poi esser venduto. La società, comunque, ha già chiarito di voler far rispettare i suoi diritti in ogni sede e in ogni caso la Banca è fuori da questo problema». 

Quanta solerzia nel ribaltare addirittura una decisione del Consiglio di Stato. E quanta attenzione anche da parte della Bce, la stessa Banca centrale che ha ha truccato gli stress test di Deutsche Bank per nascondere al mercato la vera condizione di salute del gigante tedesco (lo ha detto il Financial Times, non il sottoscritto), il cui stato comatoso è tale da restare in piedi soltanto con balle relative a interessamento un giorno della Cina, un giorno del Qatar e un giorno della Confindustria tedesca. Mancano marziani e unicorni. Di fatto, invece, sarà fusa con Commerzbank e nazionalizzata. E vedrete che alla Bce andrà benissimo, nessun richiamo per aiuto di Stato comparirà all’orizzonte, perché il do ut des è chiaro: Draghi non ammazza il nostro spread, insieme a quelli di Spagna e Portogallo e, in cambio, la Germania ha mano libera sulla questione bancaria. In compenso, Banca Mediolanum viene controllata al millimetro. Strano. 

Anche perché opera nello stesso Paese e con la stessa normativa bancaria che dovrebbe interessare anche un altro istituto, quella Mps che la scorsa settimana ha fatto +58% in cinque sedute, senza che né la Banca d’Italia, né tantomeno la Consob avessero nulla da ridire su quell’andamento anomalo, a fronte di nessuna novità sul piano industriale. Anche per l’istituto di Rocca Salimbeni si vociferava di esotici “cavalieri bianchi” dal Qatar, ma nessuna conferma giustificava un rally di quel genere: rally, temo, puramente speculativo per la gioia di qualcuno. 

Sembra la vicenda di Alitalia e della famosa cordata di imprenditori italiani che proprio Berlusconi mise assieme per salvare l’azienda e tutelarne l’italianità: in Borsa fu un ottovolante per settimane, prima che la Consob decidesse di sospendere il titolo fino a che non emergesse qualcosa di concreto. In compenso, da due giorni conosciamo il piano industriale di Mps e martedì la reazione del mercato è stato un sobrio -14,99% a Piazza Affari. Ieri mattina, poi, l’azione Mps prima non riusciva ad aprire per eccesso di ribasso, poi è entrata in contrattazione e, dopo un minimo intraday a quota 0,248 euro, saliva a metà mattinata dello 0,61% a 0,2968 euro. Ora, sapete cosa intende fare Mps entro fine anno, al netto degli esuberi di personale per contenere i costi e della gestione dei non-performing loans, tutt’altro che scontata nell’esito finale? Raccogliere 5 miliardi di euro, cifra necessaria affinché il piano abbia successo. Peccato che il prossimo 24 novembre si terrà l’assemblea con la conversione del debito subordinato, che interessa un potenziale di oltre 5 miliardi di obbligazioni di controvalore e che già sconta delle criticità che mantengono il mercato sul chi va là: il fondo di investimento con base a Londra, Attestor Capital, il quale in estate ha investito circa 1 miliardo nei bond subordinati di Mps , ha deciso che a novembre li convertirà in azioni. Chi, a vostro modo di vedere, si imbarcherà in un’avventura simile con capitali freschi, prima di sapere il risultato del referendum costituzionale del 4 dicembre e le decisioni della Bce sul Qe dell’8 dicembre? 

Per gli analisti di Berenberg, se il piano di Mps dovesse fallire, le opzioni sarebbero ridotte e dolorose: «Richiederebbero un aiuto esterno. Le opzioni includerebbero una ricapitalizzazione da parte del settore pubblico, ma questo con ogni probabilità cadrebbe nelle norme comunitarie in materia di aiuti di Stato. Un’altra opzione potrebbe comportare un bail-in con gli obbligazionisti retail che subirebbero perdite ma questo potrebbe avere conseguenze negative sui mercati del debito». Ora, al netto che le regole valgono per tutti, perché per alcuni valgono di più? Viviamo in un Paese dove il costo del cosiddetto “decreto salvabanche”, quello che Renzi ha spacciato come salvataggio del sistema a costo zero per i contribuenti, lo stanno invece pagando tutti i correntisti con un bel ricarico piazzato dal proprio istituto di credito. Eppure si arriva a ribaltare una sentenza del Consiglio di Stato per andare a fare le pulci, creando difficoltà in un momento di tensione generale sul mercato per il comparto bancario, a un istituto non solo ben patrimonializzato, ma che ha superato brillantemente i marosi della crisi globale, non essendo avvezzo a certi giochini che sono costati la ghirba a parecchi concorrenti. 

Cavaliere, dia retta: abbandoni Brunetta alla sua lotta personale per ritagliarsi un po’ di visibilità e scenda a patti con il governo sulla riforma costituzionale. Il lavoro di una vita vale molto di più di quel ronzino morente che si chiama Forza Italia.