Tema: come raddrizzare la barra di una campagna elettorale partita controvento, e sovvertire un’inerzia tutta orientata verso il No. Svolgimento: seguire attentamente i consigli, ripetuti per la verità del padre vero della riforma costituzionale, il presidente emerito della Repubblica, Giorgio Napolitano. E’ questa la fotografia della virata che faticosamente sta compiendo Matteo Renzi, cercando di risalire la china di sondaggi quasi unanimi nel vedere oggi il No in vantaggio in vista del referendum costituzionale del 4 dicembre prossimo.
Il tempo per recuperare è scarso, e si pone in una finestra che sta fra il 10 e il 29 ottobre. La prima è la data della prossima direzione del Partito democratico, la seconda quella della manifestazione convocata a Piazza del Popolo a Roma per lanciare la volata finale del Sì.
Da qui al 10 ottobre si colloca il tempo per elaborare una proposta di riforma della legge elettorale tale da convincere la minoranza Pd a non schierarsi sul fronte del No. Tra il 10 ed il 29 sta invece lo spazio per formalizzare quella proposta, ed avviarne la discussione in Parlamento. Sarà quella la fase più delicata, quella in cui il premier segretario dovrà convincere i propri interlocutori della serietà delle sue intenzioni.
Sino a oggi, infatti, nessuno fa mostra di credere alla sua reiterata disponibilità a modificare l’Italicum. Da #Enricostaisereno ai patti traditi con Berlusconi, con una ventina di cambiamenti unilaterali al primo testo delle riforme costituzionali, che anche Forza Italia votò. Renzi, insomma non viene considerato credibile nè dagli avversari, nè da una parte del suo partito. Le intenzioni sbandierate vanno tradotte in atti concreti.
Da qui i tempi stretti per elaborare una proposta di revisione dell’Italicum che — ad oggi — ancora non esiste. Secondo i bene informati i costituzionalisti di fiducia del premier sono già al lavoro da un paio di settimane, ma non hanno ancora partorito una proposta definitiva. Pare esista ancora incertezza su quale strada percorrere.
Sono proprio le parole di Napolitano a indicare quella che potrebbe essere la via più probabile da percorrere: “I governi di coalizione non sono una bestemmia”, ha detto il presidente emerito davanti ai giovani della scuola di formazione del Pd. Non solo, quindi, basta con la personalizzazione della campagna elettorale (“se perdo, me ne vado”), ma anche un colpo al cuore dell’impianto dell’Italicum, la vittoria di una sola lista.
Dietro le parole di Napolitano si nascondono però due strade percorribili. O aprire il secondo turno delle elezioni alla possibilità di formare coalizioni di liste, oppure l’eliminazione del ballottaggio, con la conseguenza che il premio di maggioranza, cui Renzi pare non voglia rinunciare, potrebbe non bastare per raggiungere il 51% per cento dei seggi. Tutto sarebbe legato al conseguimento o meno di una soglia minima di seggi al primo turno, non meno del 35%. Se nessuno vi arrivasse si aprirebbe, quindi, anche in questo modo la possibilità di governi di coalizione, che si formerebbero in questo caso in Parlamento.
Al ballottaggio, però, Renzi appare affezionato, per via della sua doppia esperienza di vittorie da sindaco di Firenze e da presidente della Provincia. Quindi, ad oggi appare più probabile che si arrivi a un doppio turno di coalizione, con la possibilità di apparentamenti, unito magari a una limitazione della possibilità dei capilista bloccati di essere presenti in ben dieci collegi differenti. Di sicuro dalle parti di Palazzo Chigi non piace affatto il cosiddetto “Mattarellum 2.0”, proposto da Speranza e dalla sinistra dem. Con il ritorno ai collegi uninominali, secondo gli esperti renziani, in una situazione tripolare come la nostra non è affatto garantito l’emergere di una maggioranza in grado di governare autonomamente.
Bisognerà vedere se questa manovra intorno alla legge elettorale riuscirà nei tempi necessari per evitare che Bersani e soci si schierino formalmente sulla barricata del No.
Renzi, che non consulta meno sondaggi di Berlusconi, è stato saggio nell’affermare che il referendum si vince a destra, cioè andando a conquistare fra i moderati quei Sì che rischia di perdere sulla propria ala sinistra. Ma se l’emorragia nella propria area di riferimento dovesse essere eccessiva, non ci sarebbe trasfusione di voti moderati sufficiente a garantirgli la vittoria. Imperativo quindi non perdere troppi voti a sinistra, anzi recuperarne il più possibile.
Dal Quirinale continuano a suggerirgli la massima prudenza, ma l’allarme non cala. Ufficialmente viene smentito ogni scenario che si affaccia sui giornali (ultimo un governo d’emergenza Padoan, con Renzi segretario del Pd, in caso di vittoria del No). Il timore di danneggiare i conti pubblici è però evidente, e lo dimostra la data scelta per la consultazione, il 4 dicembre. Così la manovra finanziaria dovrebbe essere quasi in porto. E poi, moderazione, moderazione, moderazione. La battaglia si vince convincendo gli italiani, e rassicurandoli. A colpi di ponti sullo Stretto di Messina, di altre dichiarazioni roboanti il rischio di andare a sbattere si trasforma in una certezza.