“La commissione sull’Italicum è stata pensata sicuramente più per dividere la minoranza che per ricompattare il Pd. Le priorità che ha dimostrato di avere la segreteria nazionale del partito non sono state quelle di ricercare l’unità con la minoranza interna”. E’ quanto afferma Federico Fornaro, senatore della minoranza Pd. Sull’Italicum, ha detto Renzi sabato in Piazza del popolo a Roma, davanti ai militanti convenuti per il Sì al referendum, “non abbiamo aperto ma spalancato le porte”. “Ora non si usi la legge elettorale come alibi perché siamo pronti a cambiarla”. Sarà davvero così? Gianni Cuperlo, rappresentante della minoranza dem inserito nella commissione, ha partecipato alla manifestazione renziana, ma nulla lascia presagire una riduzione delle distanze, soprattutto sulla legge elettorale.
Senatore, secondo lei Matteo Renzi vuole ricompattare il Pd o andare allo scontro con la minoranza?
La mia interpretazione della commissione sull’Italicum è che quest’ultima è stata pensata sicuramente più per dividere la minoranza che per ricompattare il Pd. Non ci sono più i tempi parlamentari per approvare qualcosa che abbia una sua efficacia prima del 4 dicembre. C’era invece tutto il tempo, e noi lo avevamo chiesto a luglio, per assumere un’iniziativa politico-parlamentare e arrivare prima del referendum con una nuova legge elettorale approvata in parlamento. Ciò a maggior ragione avendo scelto la data del 4 dicembre.
Quale segnale avrebbe mandato questa scelta?
Sarebbe stata la reale dimostrazione della volontà di ricercare l’unità del Pd, dal momento che la minoranza dem non aveva votato l’Italicum né alla Camera né al Senato. Per non parlare del fatto che nei giorni scorsi abbiamo assistito a ingiurie e attacchi francamente indecenti nei confronti di un galantuomo come Vincenzo Visco che si è sommato al dileggio che ha colpito Pier Luigi Bersani. Quello di Renzi non mi sembra il comportamento di un segretario che è alla ricerca dell’unità del partito.
E’ davvero così complicato cambiare l’Italicum prima del 4 dicembre?
La politica ha bisogno dei suoi tempi che sono stati usati male per scelta della maggioranza. Noi abbiamo presentato la legge per l’elezione del nuovo Senato a gennaio e il Mattarellum 2.0 a luglio. Le nostre proposte quindi sono state presentate per tempo, e c’era tutto il tempo per discuterle. Se già allora si fosse attivato quel processo politico che noi avevamo chiesto, probabilmente oggi ci troveremmo in una situazione differente e con una nuova legge elettorale. Non si è arrivati a questo non per responsabilità nostra.
Di chi è dunque la responsabilità?
La priorità che ha dimostrato di avere la segreteria nazionale del Pd non era quella di ricercare l’unità con la minoranza del Pd. Salvo poi, come con un colpo di teatro, nell’ultima direzione aprirsi alla disponibilità al cambiamento con questa commissione. Ma come abbiamo già chiarito in più occasioni, è stata una proposta insufficiente e tardiva.
La frattura nel Pd è ancora sanabile?
In materia costituzionale c’è sempre stata libertà di coscienza. Non vedo contraccolpi di tipo “disciplinare”. Certamente è una divisione importante su un tema assolutamente centrale, e da questo punto di vista non mi sento di sottovalutarla. La ritengo però assolutamente gestibile. Qualsiasi sia il risultato al referendum, per noi il 5 dicembre il presidente del Consiglio sarà ancora Renzi e nessuno di noi intende metterlo in discussione.
Lei che cosa ne pensa dei rilievi alla legge di bilancio 2017 mossi dalla Commissione Ue?
Certamente in questa fase non è auspicabile che si apra uno scontro con l’Ue. Il tema più delicato è quello sulla credibilità del “debitore” Italia. Di anno in anno stiamo rinviando il raggiungimento del target che consenta l’inizio del rientro dal debito pubblico, che è il vero grande macigno che noi abbiamo. Da molti anni siamo in avanzo primario, cioè in attivo al netto dell’interesse sul debito pubblico. Da questo punto di vista stiamo quindi molto meglio di altre grandi nazioni europee.
(Pietro Vernizzi)