Il quesito referendario è costituzionalmente legittimo. Firmato, la Corte costituzionale? No, macché: Loreta Dorigo, giudice della prima sezione civile del Tribunale di Milano. Che responsabilità. Con un’ordinanza lunga il doppio di quella che emise la Corte di cassazione per rinviare il Porcellum alla Consulta, il Tribunale di Milano ha bocciato l’istanza di chi lamentava che il quesito referendario, un “cassettone” con dentro tutta la riforma (dalla soppressione del Cnel a quella del bicameralismo paritario, al nuovo senato, alla revisione del titolo V e al contenimento dei costi della politica) creasse qualche disagio a chi vuole esprimere liberamente il proprio voto.
Una decisione che lascia scontento sia Valerio Onida sia gli altri ricorrenti, che ieri in un comunicato si sono rammaricati della decisione del tribunale: “Il giudizio era stato da noi promosso per poter votare Sì ad alcune modifiche che ci sembravano giuste e No ad altre che ci sembravano scritte da analfabeti del diritto e della lingua italiana, e comunque del tutto sbagliate”.
E invece, avvocato Tani?
In quella lunghissima ordinanza c’è di tutto. C’è soprattutto ciò che nessuno si sognerebbe di vedere scritto da un giudice.
Addirittura.
Scusi, ma sono citati persino i padri costituenti. Cito: “La scelta dei Padri Costituenti per quanto criticata dagli odierni ricorrenti, individuava nel Parlamento l’organo deputato all’esercizio della funzione di revisione costituzionale, riservando un ruolo solo eventuale al corpo elettorale”. C’era bisogno che lo ricordasse il tribunale?
Riepiloghiamo. Perché avete fatto ricorso?
Noi abbiamo fatto ricorso per esercitare un diritto garantito dalla Costituzione. So bene che il ruolo riservato al corpo elettorale è solo “eventuale”, nel senso che dipende dall’esserci un referendum. Ma nel momento in cui c’è il referendum, il corpo elettorale ha il diritto o no di sapere che cosa vota? E soprattutto, ha il diritto o no di non vedere compromessa la sua libertà di voto al momento della scelta?
Non si può pensare di cambiare la Carta, ha detto il giudice, con “estemporanei interventi diretti del corpo elettorale”, come spezzettare il quesito referendario predisposto dal governo. Cosa risponde?
Ma quale estemporaneo intervento diretto! C’è una richiesta di referendum e noi abbiamo difeso il nostro diritto di elettori in quanto elettori. A meno che, mi lasci dire, qualcun altro — oltre a presentare il referendum, in quel modo e cioè con quel quesito — non voglia decidere pure al posto nostro. Dicendoci prendere o lasciare, o tutto o niente — che a nostro parere è esattamente, in modo illegittimo, quello che avverrà.
Insomma, lei non vuole votare l’intero pacchetto, il maxi-quesito.
Davanti a un maxi-quesito rifilato come le “magnifiche sorti e progressive” del cambiamento, chi vuol tutelare il proprio diritto a votare liberamente come la Costituzione comanda fa secondo il giudice un “estemporaneo intervento diretto”. Complimenti.
La vostra azione, dice l’ordinanza, “comporterebbe l’attribuzione al corpo elettorale del potere di divenire fonte legislativa diretta di una modifica costituzionale con inevitabile eterogenesi dei fini, che in radice devono intendersi come razionalmente unitari”.
Vorrei che facesse attenzione a quello che sta leggendo, visto che non sembra averlo fatto il giudice. Il quale parla prima dei padri costituenti, poi nientemeno che di eterogenesi dei fini, poi di “testo indiviso alla fonte”, e di fonte legislativa diretta e tanto altro ancora. E infine ci attribuisce l’intenzione della “distruzione dell’unità del disegno di revisione approvato dal parlamento”. Chiedo: le motivazioni di un’ordinanza sono il luogo adeguato per fare queste affermazioni di natura prettamente politica?
E che cosa doveva fare, invece?
Applicare la legge. Ma la giudice non ha fatto questo, ha fatto altro e si è sostituita alla Corte costituzionale dicendo quello che la Corte dovrebbe o potrebbe fare e facendo giurisprudenza al posto suo. Ci viene contestata “l’attribuzione al corpo elettorale del potere di divenire fonte legislativa diretta”. Ci sono montagne di dottrina che spiegano come nel referendum ex articolo 138 il popolo sovrano sia di fatto la terza camera, tanto è vero che se il referendum non approva la legge, questa non c’è, non è mai esistita.
Il quesito non si può dividere, “non potendosi disarticolare l’approvazione o il rigetto di un testo (quello della riforma, ndr) indiviso alla sua fonte”.
Ma che cosa è “indiviso alla sua fonte”? Il parlamento ha approvato un testo finale elaborato dal governo e esaminato e approvato articolo per articolo.
Le domando di nuovo: che cosa avrebbe dovuto fare il giudice?
Soltanto dire se la nostra questione, l’accertamento della portata del diritto di voto, era o no rilevante e non manifestamente infondata in rapporto all’articolo 1 e all’articolo 48 della Costituzione. Invece il giudice si è sostituito alla Consulta entrando in un merito che non gli compete. Ripeto, sono 22 fittissime pagine zeppe di considerazioni estemporanee ed estranee all’oggetto del contendere.
Nell’ordinanza il giudice scrive che è la stessa Costituzione all’articolo 138 “a connotare l’oggetto del referendum costituzionale come unitario e non scomponibile”. Sono andato a leggere il 138 ma non ho trovato queste parole, forse la mia è una versione datata?
No, non c’è nemmeno nella mia versione, e sa perché? Perché quella cosa il 138 non la dice affatto. Guardi, semplifichiamo. Sa che cosa è avvenuto?
Me lo dica.
Che prima il giudice ha deciso, e poi ha motivato.
Scusi?
Prima ha deciso qual era la conclusione cui pervenire, ossia stoppare tutto; e su questa base ha costruito, a posteriori, la motivazione che troviamo nell’atto.
Lei ritiene quindi che il giudice vi abbia attribuito volontà politiche.
Ritengo proprio di sì, d’altra parte è lo stesso giudice a supporlo, proprio nell’incredibile passaggio dell’eterogenesi dei fini; o dove ci vengono attribuite intenzioni e deduzioni che nessuno ha mai esercitato, come quella di intentare l’intero procedimento per rinviare alla Consulta e fermare il referendum. Ma questo non c’è scritto da nessuna parte nel nostro atto, e a me risulta che un giudice non debba fare il processo alle intenzioni ma attenersi a quanto c’è nelle carte. E nelle carte c’è scritto che “i ricorrenti non hanno chiesto la sospensione delle operazioni referendarie”.
Ma visto che non si può spacchettare il quesito, secondo il giudice quale altra alternativa avreste avuto oltre alla causa?
Raccogliere e depositare entro i termini le sottoscrizioni richieste ex legge per promuovere il referendum. Significa mettere i banchetti in piazza e raccogliere 500mila firme per ogni quesito. Presupponendo che avessimo appoggi e finanziamenti per farlo… Le pare possibile?
Ora che cosa farete?
Abbiamo 15 giorni di tempo per fare reclamo al collegio. Ci riserviamo di valutare il da farsi, anche in considerazione dei tempi fissati per il voto e tenuto conto che l’udienza per la prosecuzione del giudizio di merito è fissata per il 6 dicembre.
Ma siete disponibili ad andare avanti?
Sì; è esattamente ciò su cui stiamo riflettendo.
(Federico Ferraù)