Com’è noto, la riforma Boschi intende abrogare, tra l’altro, l’articolo 99 della Costituzione, determinando la cancellazione del Cnel, un ente spesso considerato inutile e costoso, o addirittura l’emblema di cattiva gestione o spreco di soldi pubblici. Questi giudizi negativi sul Cnel – oggi più o meno condivisi da tutti -, in realtà vengono dal passato; basti pensare alla Bicamerale di D’Alema nel 1997 o alla Commissione dei 10 saggi, nominati nel 2013 dall’allora Presidente della Repubblica Napolitano, che ne auspicavano la soppressione o al più una radicale riforma.



Il Cnel nasce nel 1957 per dare consulenza tecnica al Governo e al Parlamento nelle materie economiche e sociali, con la facoltà di contribuire all’elaborazione della legislazione economica e sociale, anche mediante l’iniziativa legislativa. Ha assolto a tale compito? Francamente non lo credo. Al rango costituzionale che i padri costituenti vollero dargli non ha corrisposto un adeguato “uso” di tale strumento da parte delle formazioni sociali che lo hanno di fatto gestito (sindacali e datoriali). Davvero hanno lavorato al Cnel per il bene comune più che per se stesse? Forse bisognava, già tanti anni fa, avere il coraggio di adeguare il Cnel nella governance, nella mission, nei criteri e modalità di designazione dei componenti, nel loro numero perché tornasse a essere veramente utile al Paese.



Oggi, ritengo, ed è evidente a tutti, che l’attuale configurazione del Cnel non abbia funzionato, anche perché la sua legge ordinamentale risale al 1986 (30 anni fa!) e nessuno ha mai voluto modificarla rispetto ai tempi che cambiavano. Hanno lavorato con dignità e professionalità i dipendenti del Cnel, ma è la parte politica che è mancata.

Sono invece esempi positivi la nascita in molti paesi dei Comitati economici e sociali (Ces) e soprattutto il Cese (Comitato economico e sociale europeo), accortamente inserito nel processo normativo dell’Unione europea e luogo effettivamente utile al dialogo sociale, capace di essere un ponte tra l’Ue e le organizzazioni della società civile degli Stati membri, mai tacciato di “inutilità”. Difendo ancora (nonostante i loro errori “politici”) il valore dei corpi intermedi e delle formazioni sociali e ribadisco l’importanza di un luogo-casa istituzionale delle formazioni sociali. Una sede di confronto istituzionale delle parti sociali “obbligate” a trovare una sintesi tra loro per offrire pareri tecnico-politici condivisi, a Governo e Parlamento, potrebbe davvero essere utile; sicuramente non servirebbero (com’è stato in passato al Cnel) né consulenze, né auto blu, ma responsabilità e tanto lavoro. 



Qualunque sia il risultato del prossimo referendum tutte le forze politiche dovranno reimparare a dialogare tra loro, come ha recentemente ricordato il Presidente della Repubblica Mattarella: “Sarà necessario, dopo il suo risultato (del referendum, ndr), il contributo di tutti, sereno e vicendevolmente rispettoso”. La democrazia sempre corre il rischio di decadere quando le parti che la costituiscono dimenticano il bene superiore che le unisce. Bisognerà veramente recuperare lo spirito “ricostruttivo” che fu proprio della Costituente.

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