Professore di storia, sindaco di Brescia negli anni caldi di Tangentopoli, oggi senatore del Pd, Paolo Corsini parla con la franchezza di chi non ha nulla da perdere: “con la difesa della Costituzione si chiude la mia vicenda politica”. Critica Renzi (che ha voluto il referendum solo perché pensava di vincerlo) e cita Dossetti per dire che le regole si scrivono insieme, si tratta solo di volerlo fare. Cominciando, magari, da una modifica dell’articolo 138. 



Corsini, il referendum dividerà il Pd?

Io parlo per me. Ho firmato ai primi di agosto con altri nove colleghi (Dirindin, Manconi, Micheloni, Mucchetti, Ricchiuti, Tocci, Bossa, Capodicasa, Monaco, ndr) un documento in cui esplicitavamo la nostra contrarietà alla legge di revisione costituzionale. E’ stata l’espressione di una libertà di coscienza, ma la scissione non è certamente nelle mie corde.



Una libertà che qualcuno, alla minoranza dem, sembra voler negare. 

Vede, l’unica corrente che apprezzo è quella di pensiero. In quel documento non vogliamo affatto contribuire alla caduta di un governo, e solleviamo obiezioni di merito a questa legge che non ci piace. Per quanto riguarda me, la mia carriera politica finisce nel Pd. 

Giusto, ma quando?

Ho già detto pubblicamente che finita questa battaglia non intendo più impegnarmi in politica e ritornerò ai miei studi. 

Riepiloghiamo. Il segretario del Pd lo ripete continuamente: quando il partito dice una cosa si discute, e va bene, ma poi si fa quella. Alla faccia del nuovo: non è il vecchio “centralismo democratico”?



Sono ancora più radicale. Una cosa è la cosiddetta disciplina di partito, o parlamentare, in relazione a una legge ordinaria. Altra cosa è parlare di una legge di revisione costituzionale, sulla quale rivendico piena libertà di coscienza. 

Ma lei, senatore Corsini, è sicuro che ci sia?

C’è e fa leva sul regolamento del gruppo parlamentare nonché sul manifesto del valori del 2008. Quel manifesto, nel paragrafo dedicato alla Costituzione, contiene dichiarazioni molto impegnative, sia sotto il profilo dei valori sia sotto quello politico. Dice che la revisione costituzionale non può essere che il frutto di una scelta largamente condivisa, e questo vale sia rispetto agli altri partiti, sia in riferimento al Partito democratico. E aggiunge che il Pd si impegna a fare in modo che mai più si proceda a revisioni costituzionali attraverso colpi di maggioranza. 

Un chiaro riferimento alla revisione unilaterale del titolo V nel 2001. 

Secondo elemento. Io nel 2006 votai contro la riforma di Berlusconi per molte ragioni, ma una su tutte era per me fondamentale: una revisione costituzionale dev’essere il frutto di un’iniziativa delle assemblee parlamentari e mai, in alcun modo, il prodotto di un’iniziativa del governo, qualunque sia il governo che compie questa scelta. Domando: il Pd forse ha una doppia morale? 

Parrebbe di sì. Ce la spieghi, senatore. 

Se Berlusconi quando ha tentato di cambiare la Costituzione avesse tentato di allontanare dei parlamentari dalla commissione Affari costituzionali quali sarebbe stata la reazione del Pd? Se Berlusconi avesse fatto approvare la legge elettorale a colpi di fiducia, cos’avrebbe detto il Pd? 

 

Qualcuno dice che non potete appellarvi alla libertà di coscienza prevista per le leggi costituzionali perché la revisione Renzi-Boschi non tocca i principi fondamentali. Lei cosa risponde?

Due cose: si può forse raggiungere un fine buono attraverso uno strumento improprio? si possono inverare i valori costituzionali con mezzi impropri? La seconda è che quella revisione tocca in realtà parecchi articoli della prima parte: la ricentralizzazione dello stato, che è indubbia, va a collidere con l’articolo 5; la mancata elettività dei senatori procede in contrasto con l’articolo 1, dove si dice che la sovranità appartiene al popolo. E si potrebbe continuare. 

 

Che partito ha in mente Renzi?

Non il Pd che io ho contribuito a fondare: un partito liberale al suo interno, ma anche nella concezione dello stato, dove la legge costituzionale è limite all’esercizio del potere, perché il consenso abilita al governo, non al comando. 

 

Ma qual è secondo lei la carta di identità vera del Pd? 

Quella ulivista. Il Pd di Renzi fatica ad essere un partito di centrosinistra ed è tendenzialmente neocentrista. 

 

Per Bersani la sinistra che ci governa è la stessa che ha siglato un patto con chi comanda e si è dimenticata della crisi e dei diritti di chi lavora. 

Basterebbe prendere il bus per andare alla ricerca del popolo di centrosinistra. Un tempo si usciva dai centri storici e si andava in periferia, oggi bisogna fare il cammino a ritroso. Stanno ai Parioli e nella cerchia dei Bastioni.

 

Che impressione le fa Berlusconi che dopo aver detto di votare No, dice che Renzi è l’unico vero leader sulla piazza?

Penso che Berlusconi parli de domo sua: è vero che il centrodestra oggi è senza un leader autentico. D’altra parte ci sono indubbiamente diversi tratti della personalità e della politica di Renzi che non mi stupisco possano piacere a Berlusconi. 

 

Un nostro articolo suggerisce che ci sia un patto tacito tra i due, il vincente al referendum e il miglior perdente, per fare un partito unico, naturalmente di governo, dopo il voto.

Non sono appassionato di dietrologie. Vedo però che Berlusconi guarda al dopo referendum.

 

Ma lo fa anche Renzi.

Assolutamente sì, anche perché fino a qualche mese fa era convinto che il referendum sarebbe stato una passeggiata. Oggi si è reso conto che può rischiare di perdere e quindi pensa al dopo. E’ verosimile che stia preparando un terreno che gli consente agibilità e spazi politici.

 

Un terreno molto più facile da immaginare se non ci fosse una componente del Pd a rompere le scatole.  

Vero. Ma senza quella componente non sarebbe più il Pd figlio legittimo dell’Ulivo, un partito in cui accanto a componenti più moderate ce ne sono di più spiccatamente riformiste.

 

Resta vero che Renzi farebbe volentieri a meno di Bersani.

Non so se gli converrebbe dal punto di vista elettorale. In ogni caso sancirebbe la nascita di un nuovo soggetto, il PdR, il Partito di Renzi.

 

Questo giornale ha scritto che il No non è quello che dice Renzi, ma qualcosa di nuovo: la possibilità di un nuovo discorso costituente. Che ne pensa?

Il No non rappresenta in alcun modo uno schieramento politico. Tuttavia, il modello costituente deve rimanere quello che ha portato alla Costituzione del ’48. Allora la distanza tra Pci e Dc era abissale, tranne che su un punto: la volontà di mettersi insieme per scrivere le regole. Ha ragione Dossetti, quando dice che se non c’è la ricerca di un consenso largo non c’è legge costituzionale. Occorre discutere a largo raggio e cercare una soluzione condivisa.

 

Lei crede in questa possibilità?

Sì. Ma occorre lavorare bene per costruire un nuovo sistema di rapporti e di relazioni.

 

A che cosa pensa?

Una revisione dell’articolo 138 che consenta l’elezione su base proporzionale di un’assemblea costituente, i cui lavori dovrebbero svolgersi parallelamente e indipendentemente dalle maggioranze di governo. A questo proposito vorrei citare una frase di Martinazzoli presa dai suoi discorsi parlamentari.

 

L’ultimo segretario della Dc prima della diaspora democristiana. Che cosa dice?

Che nessun potere costituito ha il diritto di proclamarsi costituente se non è stato costituito sulla base di una proposta di riforma costituzionale presentata agli elettori, i quali danno vita ad una assemblea costituente attraverso un meccanismo di rappresentanza proporzionale. 

 

E’ l’esatto opposto di quanto accaduto dal 2014 a questa parte. Lei che cosa farà?

Intanto so quello che non farò. Sono un cattolico e so che Parigi non vale una messa.

 

(Federico Ferraù)

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