Renzi scommette sugli indecisi per vincere la partita referendaria e dice no all’ipotesi di un governo di scopo in caso di sconfitta. Lo ha detto ieri nella conferenza stampa tenuta in occasione dei mille giorni del governo. “Voteranno in tanti — ha detto Renzi —, 25-30 milioni. E siccome c’è una grande voglia di cambiamento in Italia, penso che prevarrà il Sì”. Non ha mancato di criticare la “grande accozzaglia che è la base politica del No”. Una parola anche per l’inesistente ripresa economica: “Nostro compito era anche portare a casa la ripartenza che va ancora piano ma è molto più forte di prima”. Il sussidiario ha parlato del dopo-voto con Peppino Caldarola, commentatore politico, ex direttore de l’Unità. “Se le dimensioni della sconfitta sono i 7 punti di Repubblica — spiega Caldarola — le dimissioni sono inevitabili. Sarebbe una sfiducia del paese”.
In questo caso cosa succede, Caldarola?
Renzi si dimette, a quel punto Mattarella potrebbe affidare di nuovo l’incarico a Renzi, il quale però ha detto che un governo di scopo non lo vuole fare. Che sia o no l’incaricato, io credo che Renzi preferirebbe un governo di tre mesi fatto per l’ordinaria amministrazione e per andare al voto.
Perché questa scelta?
Perché gli consentirebbe di fare rapidamente il congresso del Pd, puntare alla maggioranza dei voti e fare piazza pulita dei suoi oppositori interni. E comunque i sostenitori del No nel suo partito sono sconfitti, sia che Renzi vinca, sia che Renzi perda.
Forse è proprio quello che ha capito Cuperlo.
Cuperlo ha fatto un doppio ragionamento: primo, alla rissa ha preferito l’accordo. Anche se ha la forma del compromesso. Secondo, ha capito che se Renzi vince da solo, straripa, se perde da solo si vendica. Non è il solo ad aver pensato così.
Ci spieghi.
Il fatto che nel Sì vincente — o perdente — vi siano personalità che vanno da Cuperlo a Rossi, a Violante, a Letta, e perfino, fuori dal Pd, a Giuliano Pisapia, rende il “dopo” meno subalterno a Renzi.
Se vince il No, chi si siede al tavolo dei vincitori?
Grillo per primo, poi Salvini, Berlusconi e infine le briciole portate dalla sinistra Pd. Del resto è il quadro che corrisponde al sentiment raccontato. Secondo il quale essendo il voto interamente politico, la gente voterà contro il governo.
E questa valutazione la convince?
Ho qualche dubbio. Penso che l’insuccesso mondiale dei sondaggi in realtà non dipenda dall’incapacità o dalla malafede dei sondaggisti, che sono bravi professionisti, ma dal fatto che una parte degli elettori da un lato non racconta tutta la verità, e dall’altro non dice quello che vuole fare.
Se è così, la sorpresa quale potrebbe essere?
Che il Sì dato oggi per sconfitto sia invece sottostimato. A mio avviso gli argomenti renziani più comuni — meglio una camera sola, meno senatori, costi ridotti, più crescita, eccetera — sono quelli che possono lavorare di più sugli indecisi e spingerli al Sì.
Quindi, Caldarola, gli indecisi sono per la riforma.
Ne sono convinto. Non ci sono indecisi per il No. Il No difficilmente è espansivo, il Sì lo è.
Ma non era un referendum su Renzi?
Renzi non sta simpatico, però c’è anche l’altra verità: nemmeno i capi del No sono simpatici. L’impopolarità di Renzi è importante, ma l’impopolarità di Salvini, Grillo, Bersani e D’Alema nei mondi elettorali più larghi è altrettanto consistente. Renzi ha capito che il tema di maggiore insofferenza nell’opinione pubblica italiana è l’antiparlamentarismo e lo cavalca. Ha capito che c’è una disaffezione verso l’Europa e invece di fare dichiarazioni fa piccole cose concrete, anche se simboliche: nessun premier prima di lui ha messo il veto sul bilancio Ue. “Ce lo chiede l’Europa” è un refrain di cui si è sbarazzato.
Insomma le due ultime settimane possono favorire il Sì.
Esatto. Per questo la partita di Renzi non è ancora interamente giocata.
Se Renzi vince nettamente, asfalta tutti.
Sì, perché in tal caso vince su tutto il sistema politico.
Immaginiamo invece una vittoria del Sì risicata. Che cosa succede?
Come analista la considero probabile, ma come cittadino tifo per questa soluzione.
E perché?
Perché il Sì vincente ma risicato significa almeno due cose. La prima è che la riforma continua. La seconda è che Renzi ha il mandato politico di continuare, ma l’obbligo di trattare.
Non certo sulla legge di revisione costituzionale.
Sulla riforma no. Ma un Renzi che vince di uno o due punti sarebbe costretto a tener conto che la metà del paese gli ha detto di no e a quel punto non potrebbe più fare Mandrake. Dovrebbe sedersi e mediare.
Esiste però anche l’ipotesi di un No che vince di misura.
In tal caso lo scenario potrebbe non comportare le dimissioni di Renzi, ma un Renzi che dice all’altra parte: avete vinto, ma io sono la metà del paese. E qui arriverebbe il bello.
Ci lasci indovinare. Farebbe come con l’Italicum.
Esatto. Direbbe: fatemi voi una proposta unitaria. E lì si scoprirebbe che il No non ce l’ha.
Perché dice che una vittoria di misura sarebbe negli interessi degli italiani, riforma a parte?
Perché oggi l’Italia ha bisogno del compromesso, del disarmo. E una vittoria risicata dell’uno o dell’atro fronte sarebbe quella che più favorirebbe questa prospettiva. Il vincitore saprebbe di non poter fare il padrone.
Meglio sarebbe stato non fare il padrone con la riforma. Ma veniamo a Berlusconi. Secondo lei che cos’ha in mente?
Non è potuto andare con Renzi per non avvalorare una diceria e perché la personalità straripante di Renzi lo avrebbe relegato in seconda fila. Ma il suo No non è di merito. E’ quel No che gli può consentire di sedersi al tavolo dei vincitori, al tipico modo in cui l’Italia entrava in guerra all’ultimo minuto per guadagnare un posticino.
(Federico Ferraù)