Partiamo da un punto fermo: se continuerà a rimanere diviso, il centrodestra si consegna all’irrilevanza politica, lo spettatore di una contesa ridotta a democratici e grillini. Dopo il 4 dicembre si aprirà quindi una fase delicatissima, riunirsi o rassegnarsi a fare da contorno. Sino al giorno del referendum le polemiche rimarranno confinate nella categoria delle scaramuccia, anche se indicative del futuro. La vera partita si giocherà dopo. E avrà come protagonista principale ancora una volta Silvio Berlusconi.



A vederla in questo momento la fotografia del centrodestra è quella del tutti contro tutti. Gli ultimi giorni segnano il sostanziale fallimento del tentativo di Stefano Parisi, sconfessato da Berlusconi, dopo essere finito in rotta di collisione con il leader leghista Matteo Salvini. “Parisi sta cercando di avere un ruolo nel centrodestra, ma avendo questa posizione di contrasto con Salvini credo che questo ruolo non possa averlo”, sono le parole che lo hanno condannato. Senza appello.



Il manager sconfitto da Sala nella corsa a Palazzo Marino ha risposto annunciando la trasformazione del proprio movimento “Energie per l’Italia” in partito. Da federatore, dunque, a frammentatore di un panorama già di per sé sminuzzato. In ordine sparso Forza Italia (divisa in mille correnti), Lega Nord, Fratelli d’Italia, i Conservatori Riformisti di Fitto, la Destra di Storace, i gruppi di Quagliariello e di Alemanno, Tosi, Rotondi, oltre, volendo, all’Udc e all’Ncd, ammesso che qualcuno non sia stato dimenticato.

“Bruciato pure questo”, ha commentato laconico Storace. Dunque non si può ricominciare che da Berlusconi, anche perché sembra passato un millennio, e non dodici mesi appena da quell’8 novembre 2015, quando il Cavaliere, Salvini e Meloni salirono insieme sul palco di Piazza Maggiore a Bologna facendo risuonare lo slogan “Uniti vinceremo”. Il 12 novembre 2016 da Firenze, Piazza Santa Croce, il messaggio è molto differente: al posto di Berlusconi sul palco c’è solo il governatore ligure Toti, mentre Salvini lancia la propria autocandidatura a Palazzo Chigi, accolta con favore da Giorgia Meloni che risponde lanciando l’idea di primarie del centrodestra il 5 marzo prossimo.



Non siamo di fronte a una semplice guerra di potere per decidere a chi spetti la successione di Berlusconi. Sotto c’è molto di più. E’ almeno dalle elezioni europee del 2014, quando la Lega si è ripresa da una crisi che pareva irreversibile, che è in corso un braccio di ferro per definire la linea politica del centro destra. Da una parte la spinta sovranista e nazionalista propugnata da Salvini, e appoggiata dalla Meloni, dall’altra una politica più cauta, ma confusa e ondivaga rappresentata da Berlusconi. 

Divisi su tutto in questo momento, persino sulla valutazione della vittoria di Donald Trump negli Stati Uniti: una notizia straordinaria per il leader leghista, che si augura un effetto contagio in Italia e in Europa, uno scenario da prendere con le pinze per Berlusconi, che vede sia punti di contatto, sia differenze con il nuovo presidente degli Stati Uniti. E simile distanza c’è su Marine Le Pen e sull’euroscetticismo spinto. 

Che piaccia o no il pallino rimane saldamente nelle mani di Berlusconi, anche se le percentuali della sua Forza Italia sono ben lontane da quelle di un tempo e faticano a mantenersi in doppia cifra. Ma senza il 10% (o giù di lì) di Forza Italia, il caso delle comunali di Roma dimostra che Salvini e Meloni possono realisticamente aspirare al massimo al 20%, percentuale marginale di fronte ai due colossi, Pd e M5s, entrambi valutati a cavallo del 30%.

Sino al 4 dicembre Berlusconi è in stand by. E si è reso conto che solo con una vittoria del No potrà recitare ancora una parte sul palcoscenico della politica. Potrebbe dare una mano a riscrivere la legge elettorale, Renzi potrebbe avere bisogno di lui. E probabilmente di uno scenario simile si è cominciato a discutere a fine ottobre nell’incontro che l’ex premier ha avuto al Quirinale con il presidente della Repubblica, Mattarella. Ma questo complicherebbe non poco i rapporti con Salvini e la Lega. Non a caso Berlusconi ha gettato acqua sul fuoco, spiegando che il Pd avrà la maggioranza in Parlamento anche dopo il referendum, per cui “spetta a loro fare un governo, non è necessario il nostro sostegno”. 

Ogni mossa verrà quindi valutata con attenzione, sulla base del risultato della consultazione referendaria. E nel frattempo potrebbero esserci novità sul piano del ricorso presentato alla Corte Europea dei Diritti Umani contro la legge Severino che determinò la sua decadenza da senatore. E’ quanto lascia intendere uno che la sa lunga come Luigi Bisignani, dalle colonne del Tempo.

Se, dopo un’attesa di tre anni, l’esito del ricorso fosse a lui favorevole, allora la tattica attendista di Berlusconi troverebbe improvvisamente un senso. Si spiegherebbe il perché si è sempre rifiutato ostinatamente sin qui di incoronare un successore. In caso contrario, sarà quello il momento delle scelte. Il centrodestra italiano continua a essere Berlusconi-dipendente.